Il mito della "secular stagnation"? È servito solo a coprire i fallimenti delle politiche economiche

La debolezza della ripresa non è stata causata da una "stagnazione secolare". Il problema sono state le politiche governative inadeguate. E le cose sarebbero andate diversamente se Obama fosse stato più coraggioso

Il mito della "secular stagnation"? È servito solo a coprire i fallimenti
Il premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz

L’idea della "stagnazione secolare" è stata concepita all'indomani della Grande Depressione del 1929, una crisi senza precedenti. È, poi, arrivata la recessione del 2008 ed è tornata di moda l'idea di una “secular stagnation” degli Usa e, forse, dell’economia globale. Ma “la narrazione è in realtà servita solo a coprire gli errori di politica economica commessi prima dell’inizio del tunnel recessivo”. L’opinione è del premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz.

Gli eventi dello scorso anno hanno smentito la retorica sulla stagnazione. L'improvviso aumento del disavanzo statunitense, da circa il 3% a quasi il 6% del Pil a causa della riforma fiscale, ha portato la crescita degli Usa a circa il 4% e ha ridotto la disoccupazione ai minimi da 18 anni. La riduzione delle tasse di Trump, seppur mal concepita, dimostra che, con un sufficiente sostegno fiscale, la piena occupazione può essere raggiunta, anche se i tassi di interesse salgono ben al di sopra dello zero.

L'amministrazione Obama ha, dunque, commesso un errore cruciale nel 2009 nel non perseguire uno stimolo fiscale più ampio, più lungo, meglio strutturato e più flessibile. Se l'avesse fatto, il rimbalzo dell'economia sarebbe stato più forte e non si sarebbe probabilmente parlato di stagnazione secolare. Invece, nei primi tre anni della ripresa soltanto l’1% più ricco ha visto aumentare il proprio reddito.

Il travaglio dell'economia era più profondo di quanto compreso dalla Casa Bianca. Ci sarebbe stato bisogno di misure più coraggiose. Le ricadute della crisi finanziaria hanno, infatti, determinato conseguenze strutturali a partire da una massiccia ridistribuzione del reddito verso l'alto, che ha indebolito la domanda aggregata. Il tutto nel mezzo della transizione verso la digitalizzazione dell’economia e dell’indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori.

Il paradosso è che se la riforma fiscale di Trump fosse stata attuata all’inizio della crisi del 2008 sarebbe stata più efficace di quanto non possa esserlo oggi: allora la disoccupazione era alta, mentre ora è bassissima. La debolezza della ripresa, quindi, non è stata causata da una "stagnazione secolare". Il problema sono state le politiche governative inadeguate.

Ciò significa che, tra le numerose lezioni lasciate in eredità dalla crisi del 2008, quella più importante è che la sfida resta politica, non economica. Non c'è nulla che impedisca intrinsecamente all'economia di essere gestita in modo da garantire la piena occupazione e una crescita condivisa. Ecco quello che occorre: uno sviluppo più inclusivo e un po' meno di feticismo sul Pil, soprattutto se va a vantaggio di pochi.

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