Curarsi in altri paesi Ue? Si può, ma ne beneficia lo 0,05% degli europei

Corte dei Conti Europea: dall'Italia in un anno appena 200 pazienti sono andati in altri paesi Ue. Nell’Ue sono stati 200 mila

Curarsi in altri paesi Ue? Si può, ma ne beneficia lo 0,05% degli europei

Poche informazioni, tanta burocrazia e ritardi nello scambio dei dati sanitari. La possibilità di accedere all'assistenza sanitaria in altri Paesi dell'Ue è ancora un miraggio per molti europei. Ad averne beneficiato, in un anno, sono stati appena 200 mila, pari a meno dello 0,05% della popolazione. A fare il punto è una relazione della Corte dei Conti Europea.

Eppure c’è una direttiva UE sull'assistenza transfrontaliera, operativa in Italia dal 2014, che mira a garantire il diritto a esser curato in un altro Stato membro e a un rimborso per prestazioni sanitaria e ospedaliera oltre i confini nazionali (all'interno dell'Ue). Una possibilità particolarmente utile per la cura di alcune patologie, come le malattie rare, per le quali le conoscenze e l'esperienza sono ancora concentrate in pochi centri altamente specializzati.

Secondo la relazione, nel 2016, a registrare il maggior numero di pazienti in entrata sono stati Spagna e Portogallo: ne hanno ricevuti rispettivamente 46 mila e 33 mila; circa 9.300 quelli arrivati invece in Italia. Mentre è stata la Francia quella ad avere più pazienti in uscita, circa 150 mila (soprattutto verso la Germania) su un totale di 213 mila a livello europeo, a fronte di appena 200 casi registrati in Italia.

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