Alle condizioni attuali il Pos anti-contanti è un regalo alle banche

In Italia circola troppo contante. Ma oltre a incentivare l’utilizzo dei pagamenti elettronici, occorre anche più trasparenza sulle commissioni pagate dalle imprese alle banche. Oltre a una tantum e al canone mensile, c’è una trattenuta sulle transazioni: ma sulla base di quale principio una quota degli incassi è versata agli intermediari finanziari?

Alle condizioni attuali il Pos anti-contanti è un regalo alle banche

Il decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2020 ha previsto diversi incentivi ai mezzi di pagamento diversi dal contante. Restano sul tappeto due domande: in Italia c’è davvero troppo contante? Gli incentivi ai Pos nascondono un sussidio alle banche?

La risposta alla prima domanda è affermativa. Secondo uno studio pubblicato nel 2017 dalla Banca centrale europea, nel nostro paese 86 transazioni su 100 (pari al 68% del valore) avvengono in contante, contro una media di 79 (54% del valore) nell’area dell’euro.

La risposta alla seconda domanda è più complessa, perché le commissioni richieste ai negozianti che adottano un Pos non brillano per trasparenza.

Uno sguardo alle condizioni praticate da alcuni istituti di credito consente comunque di mettere a fuoco tre livelli di costi: un contributo una tantum per l’installazione del terminale, un canone mensile e una trattenuta sulle transazioni.

Se l’installazione costa circa 100 euro (in alcuni casi è gratuita), i canoni sono piuttosto eterogenei (in genere, tra 12 e 40 euro) e la trattenuta sull’incasso oscilla generalmente tra l’1 e il 3%.

Ma non si capisce sulla base di quale principio una quota degli incassi debba essere versata agli intermediari finanziari. Ecco perché, qualora le condizioni attuali non siano modificate, l’incentivo all’utilizzo dei pagamenti elettronici (sebbene l’iniziativa sia condivisibile) si tradurrà in un regalo alle banche.

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