Diciamolo senza troppi giri di parole: la guerra continua, perché nessuno (per ora) vuole farla finire

Ci indigniamo per Bucha e le altre atrocità ma le nostre risposte sono solo sanzioni (parziali). E il gas continua a fluire dalla Russia…

La guerra durerà a lungo, perché nessuno vuole farla finire

Cominciamo questo scomodo editoriale mettendo subito dei paletti. Il governo russo ha scatenato in modo folle la guerra in Ucraina. La responsabilità è di Mosca, indipendentemente da qualunque considerazione relativa al più o meno recente passato. Un altro punto nodale è che Putin, il cui esercito si è reso protagonista di infami atrocità, non ha ad oggi dimostrato di volersi sedere al tavolo per quantomeno puntare al cessate al fuoco.

Ma cosa sta accadendo dall’altra parte del tavolo? Ovvero, Nato ed Europa. In particolare l’Ue, dove alcuni paesi in particolare tra i quali Italia, Germania e Austria sono energeticamente dipendenti da Mosca, si interroga su quale prezzo sia accettabile pagare per ‘difendere’ l’Ucraina. Nel frattempo, l’Ue sta inanellando una sanzione dopo l’altra contro la Russia. Ma le manca, almeno per ora, il coraggio di porre l’embargo su petrolio e gas. Mossa che darebbe una mazzata alla Russia, ma farebbe schiantare anche l’economia comunitaria e in particolare quella tedesca che dell’Europa è la locomotiva. Con conseguenze immaginabili sulla vita reale dei cittadini europei e, soprattutto, su quelli meno abbienti.

È giunto il momento di mettere un altro paletto. Le motivazioni che stanno dietro alle sanzioni, secondo ‘quoted business’, sono nobili perché sono collegate alla libertà di uno Stato sovrano. Ma restano alcuni interrogativi sul tappeto: se l’obiettivo è puntare a il cessate il fuoco, ha senso espellere i diplomatici russi? Siamo sicuri che governi e cancellerie europei si stiano concretamente applicando, seppur la strada sia terribilmente in salita, per tentare di portare a un tavolo (non di pace, di confronto) Putin? Uno dei motivi per i quali di fatto ciò non sta avvenendo forse è che sull’onda di una condivisibile indignazione dei cittadini comunitari il timore è di perdere consenso. Ma questo consenso verrà comunque meno con le inevitabili gravi conseguenze sociali ed economiche alle quali stiamo andando (inevitabilmente) incontro. Un’altra motivazione dietro alla mancata attività diplomatica è che molti ritengono che Putin non verrebbe mai a quel tavolo. Su quest’ultimo punto in realtà non c’è certezza: chi sa cosa vuole davvero il presidente russo? Con questo non si vuole qui suggerire di genuflettersi difronte all’invasore concedendogli ciò che vuole, ma di lavorare comunque a un possibile compromesso.

L’alternativa è continuare a guardare dai nostri comodi divani le atrocità perpetrate dalle forze russe sull’inerme popolazione ucraina. Non saranno infatti le sanzioni a fermare il capo del Cremlino, il quale piuttosto che scendere dal trono sarà disposto a fare la fine di Sansone con tutti i filistei. E qui si apre il potenziale scenario atomico.

Ci sono poi gli Stati Uniti, il nostro principale alleato extraeuropeo che ha tentato negli anni più recenti di esportare la democrazia, senza riuscirci, in vari paesi (oggi ancora devastati), sicuramente più di quanto Putin abbia tentato di modificare la geografia del continente euroasiatico. Ma visto che in questo post non si vogliono riannodare i fili della storia contemporanea, torniamo alla più stretta attualità. Washington non punta a far finire la guerra, quanto a detronizzare Putin attraverso la guerra (anche se l’operazione appare sempre più ardua), mettendo così in grave pericolo oltreché gli ucraini anche gli europei.

Nel frattempo gli Usa hanno fatto scacco matto: aumentano le esportazioni di armi e vendono gas a stelle e strisce all’Europa che per anni da quell’orecchio non ha voluto sentire. Anche perché l’energia Usa è davvero ‘oro blu’, nel senso che il prezzo è ben più salato di quello garantito dalla Federazione russa. E che importa se negli Usa viene prodotto attraverso la deprecabile pratica del fracking, ovvero la fatturazione idraulica per lo sfruttamento di gas e petrolio da scisto. Accusata di contaminare le falde acquifere e di produrre terremoti.

Infine, le Nazioni Unite, messe con le spalle al muro da Volodymyr Zelensky. L’Onu ha in effetti le mani legate. Il diritto di veto al Palazzo di vetro di New York è prerogativa di Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna. E ciò è abbastanza per far sì che le Nazioni unite appaiano oggi come un monolite impossibilitato ad agire. In tal contesto, la richiesta del presidente ucraino di sospendete alla Russia il diritto di veto appare tecnicamente quasi impossibile e, qualora lo fosse, farebbe allontanare ancora di più qualunque prospettiva di cessate il fuoco.

In conclusione, inviare armi all’Ucraina e applicare sanzioni (sebbene siano mosse pienamente condivisibili sul piano emotivo anche se d’ora in poi, crescendo di intensità, rischiano di spaccare i già deboli equilibri in Europa), non favoriranno la fine del conflitto. Anzi, allungheranno il brodo. Ci vorrebbe un’intensa e caparbia attività diplomatica che nessuno, al momento, sembra interessato a portare avanti. Per interessi politici domestici ed economici internazionali. Abbastanza per non tentare di mettere uno stop a un conflitto fratricida. Nel vero senso del termine. La Nato e gli Usa, tra sanzioni e annunci sul fatto che il conflitto durerà a lungo, stanno preparando il terreno affinché ogni contromisura contro l’invasore sia giustificabile. Fino all’estrema ratio. L’importante è che tutto, però, non finisca ora, altrimenti l’economia di guerra andrebbe in fumo: business is business, as usual. Nel frattempo, quante Bucha saremo costretti noi a vedere e gli ucraini a subire prima che il popolo russo faccia fare a Putin la fine di Saddam Hussein? Se la prospettiva è questa tanto vale approvare un intervento militare diretto della Nato, andando dritti verso un’altra guerra totale. Invece, molto meglio, sarebbe tentare l’impossibile pur di fermare l’inesorabile scorrere del sangue.

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