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Nel suo 80° anniversario, l’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite non è stata solo un’occasione per discutere le crisi del mondo, ma per interrogarsi sul futuro dell’organizzazione stessa. Secondo Carl Bildt, ex primo ministro e ministro degli Esteri svedese, l’ONU si trova oggi davanti a una sfida esistenziale: la domanda di intervento multilaterale cresce, ma la capacità di incidere diminuisce.
La crisi di legittimità del multilateralismo
Guerre regionali, tensioni geopolitiche, emergenze umanitarie e crisi climatiche stanno moltiplicandosi. Eppure, l’ONU appare spesso impotente, bloccata da veti incrociati e da una governance paralizzata. “L’organizzazione – scrive Bildt – non potrà sopravvivere senza ridimensionare le proprie ambizioni e riorganizzare le sue capacità operative”.
L’America non è più “casa” per le Nazioni Unite
L’idea più provocatoria dell’ex premier riguarda la sede stessa dell’ONU, a New York.
Per Bildt, la permanenza negli Stati Uniti non è più sostenibile. Washington, sempre più orientata verso politiche nazionaliste e competitive, non garantisce più l’ambiente politico e diplomatico necessario a un’istituzione che dovrebbe restare neutrale. Un trasferimento in un Paese più ospitale, forse in Asia o in Europa, potrebbe segnare una rinascita simbolica e operativa.
Un nuovo equilibrio mondiale
Il dibattito lanciato da Bildt non è solo logistico, ma profondamente politico. Chi ospita le Nazioni Unite esercita un’influenza simbolica e strategica sul sistema multilaterale. Spostare il quartier generale significherebbe riconoscere che il baricentro geopolitico globale si è spostato — e che la cooperazione internazionale ha bisogno di una nuova sede, lontana dalle divisioni interne e dagli interessi di Washington.
Ripensare il multilateralismo del XXI secolo
L’ONU nacque nel 1945 per evitare nuove guerre mondiali. Oggi, in un mondo frammentato da conflitti, disuguaglianze e crisi climatiche, rischia di diventare irrilevante se non si reinventa.
La proposta di Bildt, per quanto radicale, solleva la vera domanda: serve un nuovo inizio per le Nazioni Unite?