Neanche con il fiume di euro proveniente dal Recovery Fund l’Italia colmerà il divario con Germania e Francia su R&S e innovazione

Lo storico ritardo con le principali economie avanzate sembra incolmabile.

L’Italia non colmerà il divario con Germania e Francia su R&S e innovazione

L’innovazione tecnologica richiede investimenti nell’attività di ricerca e sviluppo (R&S) da parte del settore privato (imprese) e di quello pubblico (università e enti di ricerca). L’Italia presenta uno scarso livello di spesa in R&S in rapporto al Pil: nonostante il lieve aumento degli ultimi anni, dovuto alle risorse stanziate dalle imprese, la spesa in R&S rimane ben più bassa rispetto alla media UE e molto inferiore alla Germania (Berlino investe in R&S più del doppio rispetto all’Italia in rapporto al Pil). Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina 12,9 miliardi alla componente “Dalla ricerca all’impresa”, ma di questi solo 5,9-6,5 mld si traducono effettivamente in spesa in R&S. Si tratta di cifre insufficienti per colmare il divario con Francia e Germania.

E qual’è l’impatto sulla tecnologia dell’attuale attività di ricerca e sviluppo in Italia? Una misura dell’attività di innovazione tecnologica è rappresentata dai brevetti, seppur con alcuni limiti: riflettono principalmente l’attività innovativa delle imprese piuttosto che di università ed enti pubblici; non tutte le invenzioni sono brevettate e non tutte le innovazioni brevettate sono poi introdotte nei processi produttivi; l’andamento dei brevetti può essere influenzato da fattori non legati all’attività scientifica e tecnologica, come la propensione delle imprese a ricercare protezione legale per le proprie invenzioni, i costi e gli ostacoli burocratici della domanda di approvazione dei brevetti.

In ogni caso, l’Italia presenta una scarsa attività brevettuale rispetto gli altri paesi industrializzati. Concentrandosi sull’Ufficio europeo dei brevetti (European Patent Office), nel 2021 imprese ed enti residenti in Italia hanno presentato 4.919 domande per la registrazione di brevetti, ossia il 2,6% delle domande totali: un valore superiore a quello della Spagna (1%), ma più basso di quello della Francia (5,6%) e decisamente inferiore rispetto alla Germania (13,8%). Escludendo gli Stati Uniti e i paesi asiatici, che rappresentano la maggior parte delle domande, l’Italia è al settimo posto per domande depositate.

Normalizzando il numero di brevetti per la popolazione – ottenendo così una misura dell’intensità tecnologica – l’Italia è all’undicesimo posto tra i paesi europei, davanti alla Spagna, ma molto indietro rispetto ai paesi scandinavi e dell’Europa centrale.

Negli ultimi dieci anni il numero di domande dell’Italia è aumentato del 31,4%. Tale tasso è in linea con i paesi con un minore numero di brevetti, e molto più alto di Francia e Germania che presentavano un numero relativamente elevato di brevetti già nel 2012. Tuttavia, i tassi di crescita più elevati sono stati registrati dai paesi asiatici, che hanno dunque aumentato il loro peso nel mercato europeo; in particolare la Cina ha più che quadruplicato il numero di domande.

La lentezza dell’Italia nel campo dell’innovazione tecnologica è correlata alle storiche caratteristiche del tessuto imprenditoriale dello Stivale, affetto da nanismo industriale e specializzazione in ambiti low-tech, e dalla modesta spesa (sia pubblica che privata) in R&S. Torna in mente una pubblicità di molti anni fa: “Per una parete grande ci vuole un grande pennello”. Ma l’Italia non sembra ancora aver afferrato il concetto. E si consideri che la Germania non è certamente il top sulla scena globale per R&S e innovazione: infatti la prima economia europea (specializzata principalmente nel settore manifatturiero e metalmeccanico in particolare) non ha alcun campione nazionale nei settori ad alta tecnologia.

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