Cosa c'è dietro la fine dei sussidi Usa al Ruanda

La chiusura del sostegno degli Stati Uniti al settore ruandese dei vestiti usati segnala che il conflitto tra Washington e Pechino si sta spostando in Africa. L'export cinese nel continente ha superato quello Usa già dal 2009

Cosa si nasconde dietro la fine dei sussidi Usa al piccolo paese africano

Abiti, pantaloni e camicie usati sono ricercatissimi in Africa. Specialmente se provengono dai paesi occidentali. Le autorità ruandesi hanno sequestrato 230 tonnellate di vestiti importati illegalmente da luglio a dicembre 2017. L’economia sommersa cresce anche perché il governo ha aumentato i dazi sui tessuti di seconda mano importati, con l’obiettivo di rafforzare il settore tessile nazionale, che è in grado però di proporre prodotti di bassa qualità.

Poi la svolta. Nel 2015 i paesi della Comunità dell'Africa orientale (Eac) hanno deciso di vietarne l'importazione dal 2019. A conti fatti, il Ruanda è oggi l'unico stato che aderisce a questo piano, che sembra fallito ancor prima di nascere. Perché? La regia è degli Stati Uniti. Trump ha convinto quasi tutti gli stati a cambiare idea. E con i ribelli, anzi il ribelle, è passato al metodo duro: sospensione dei sussidi all’industria dell’abbigliamento ruandese, misure che erano parte integrante dell'African Growth and Opportunity Act, un accordo di libero scambio tra Eac e Stati Uniti.

I paesi africani hanno ricavato modesti benefici da questa intesa. Ciò significa che l’azione minatoria di Trump non produrrà rilevanti effetti sulle esportazioni dell'Africa orientale. E nel caso del Ruanda, l’export verso gli Stati Uniti del settore, privato dei sussidi Usa, nel 2016 è stato pari a 1 milione di euro, in fondo poco di fronte alle esportazioni di caffè del paese negli Stati Uniti: 22 mln.

Ma allora perché la prima economia al mondo si preoccupa così tanto dei vestiti usati commercializzati in un piccolo Stato africano? C’è un motivo evidente: quello dei tessuti di seconda mano, quasi sempre provenienti dalle donazioni dei cittadini occidentali a organizzazioni no-profit salvo poi essere in buona parte rimessi sul mercato anziché donati, è un business enorme in Africa orientale.

Dopo il 2016, tuttavia, i dazi sono decuplicati e il loro prezzo è salito. Il costo è ora simile a quello dei vestiti prodotti in Ruanda a fronte di una qualità nettamente inferiore. Con un duplice effetto: aumento del contrabbando e crescita dell’import dalla Cina. Pechino ha superato Washington come principale partner commerciale dell'Africa già dal 2009. Le esportazioni cinesi verso il continente hanno raggiunto il valore di 87 mld nel 2015, mentre quelle statunitensi in Africa ammontavano a soli 23 mld. Ecco cosa si nasconde dietro un’apparente battaglia tra un elefante e una formica.

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