Socialismo per i ricchi. Capitalismo per tutti gli altri

Gli ‘elefanti che volano’ spingono l’economia Usa in un cul de sac. Ma il problema riguarda anche Europa, Cina e Giappone

Socialismo per i ricchi. Capitalismo per tutti gli altri

Donald Trump ha aumentato i deficit di bilancio nei suoi primi tre anni a livelli visti nella storia statunitense solo durante le grandi guerre e le crisi finanziarie, grazie ai tagli alle tasse, alle spese militari e alla scarsa disciplina fiscale. E lo ha fatto in una fase prepandemica, quando cioè l’economia era già in espansione e la disoccupazione era bassa. Ma ora Joe Biden vuole aumentare la spesa pubblica per alleviare gli effetti della pandemia sull’economia reale. Scelta che rischia di peggiorare ulteriormente il deficit pubblico.

C’è dunque un filo conduttore tra democratici e repubblicani: negli ultimi anni è cresciuto un consenso trasversale favorevole all’aumento della spesa pubblica sfruttando il fatto che i tassi di interesse sono al minimo storico (ormai da anni). Questo consenso ha un nome: ‘socialismo per i ricchi e capitalismo per tutti gli altri’. L’effetto? Il 10% della popolazione Usa più ricca, che possiede oltre l’80% delle azioni statunitensi, ha visto il proprio tesoro più che triplicare in 30 anni, mentre il 50% più povero, facendo affidamento sul lavoro quotidiano nei mercati reali per sopravvivere, ha avuto zero guadagni.

La conferma proviene proprio da quanto accaduto nell’anno appena concluso. Nel bel mezzo di una pandemia, che ha distrutto posti di lavoro e piccole imprese, il mercato azionario è salito alle stelle. Qualcuno parla di elefanti che volano. Ecco allora che salvataggi sempre più generosi alimentano l’ascesa dei monopoli e mantengono in vita imprese zombi fortemente indebitate, a scapito di start- up che invece guidano l’innovazione. Una delle conseguenze è una produttività modesta, il che si traduce in una crescita economica più lenta e una riduzione della torta per tutti.

Negli anni ‘80 solo il 2% delle società quotate in borsa negli Stati Uniti erano considerate zombi, un termine usato dalla Banca dei regolamenti internazionali per indicare le società che, negli ultimi tre anni, non avevano guadagnato abbastanza profitti da ripagare gli interessi sul loro debito. Il numero di zombi ha iniziato a salire rapidamente all’inizio degli anni 2000 e, alla vigilia della pandemia, rappresentava il 19% delle società quotate negli Stati Uniti. Un processo che sta accadendo anche in Europa, Cina e Giappone.

D’altronde, salvataggi prolungati e sempre più generosi distorcono l’allocazione efficiente del capitale, impedendo di fatto alla ‘distruzione creativa’ delle start-up trainate dalla digitalizzazione dell’economia di fare boom. Prima della pandemia, negli Stati Uniti il numero di start-up è salito al ritmo più lento dagli anni ‘70. E il numero di società statunitensi quotate in borsa è diminuito di quasi la metà, a circa 4.400, rispetto al picco registrato nel 1996.

Nel frattempo, mentre i governi continuano a intervenire per uscire dalle crisi economiche, le recessioni non svolgono più il loro ruolo di epurazione delle aziende inefficienti e le riprese si sono indebolite sempre di più, con una minore crescita della produttività. Ecco perché servono sempre maggiori stimoli ogni volta per sostenere il Pil.

Inoltre, se il livello dei tassi di interesse tornasse a crescere, a fronte di debiti pubblici così elevati, le risorse disponibili in mano al governo diminuirebbero drasticamente. Una fetta importante andrebbe destinata a ripagare gli interessi sul debito. Certo, si potrebbe semplicemente stampare ancora più denaro, ma ciò potrebbe minacciare lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale e aumentare ulteriormente i costi sul debito pubblico.

Quindi, aiutare la popolazione a risollevarsi è una buona idea. Ma invece di distribuire denaro a pioggia, sarebbe forse il caso di destinare risorse finanziarie solo ai soggetti più vulnerabili e indirizzare maggiori investimenti in infrastrutture che migliorano la produttività e creano buoni posti di lavoro.

In questa ottica sarebbe preferibile puntare su un capitalismo più inclusivo per tutti e un socialismo meno impulsivo per i ricchi. Le economie crescono da un numero maggiore di persone che innovano e avviano nuove attività. Senza il rischio imprenditoriale e la distruzione creativa, il capitalismo non funziona. Il legno morto non cade dall’albero, mentre i germogli vengono stroncati sul nascere.

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