
Secondo l’ONG britannica Earthsight, migliaia di tonnellate di pelle bovina brasiliana, usata da marchi dell’alta moda italiana, derivano da animali allevati in aree deforestate illegalmente o su terre indigene occupate nello stato del Pará, cuore verde dell’Amazzonia. Un paradosso, considerando che proprio lì si terrà a novembre la COP30 sul clima.
I marchi sotto accusa
Coach, Fendi, Hugo Boss, Saint Laurent, Balenciaga, Gucci, Chloé e Chanel sono tra i marchi citati nel rapporto. Le pelli, esportate da aziende brasiliane come Durlicouros, finiscono in concerie italiane che riforniscono i grandi brand. Alcune aziende negano legami diretti con fornitori coinvolti, ma la tracciabilità resta carente.
Il problema dei fornitori indiretti
Il nodo è nei fornitori indiretti, spesso fuori controllo. Le mucche allevate illegalmente vengono “riciclate” passando per allevamenti legali. Così finiscono in commercio come se fossero sostenibili, ma senza alcuna garanzia. Le certificazioni esistenti, come il Leather Working Group (LWG), non tracciano fino alle fattorie.
Il ruolo del Brasile e dell’Europa
Earthsight chiede maggiore trasparenza da parte del Brasile e punta sull’entrata in vigore del Regolamento UE sulla Deforestazione (EUDR). Se ben applicato, potrebbe vietare prodotti legati a pratiche ambientali illegali. Ma parte dell’industria spinge per escludere la pelle dalla normativa.
Quando la moda ignora la foresta
Il consumatore, avverte Earthsight, paga il prezzo del lusso, ma non si aspetta che dietro una borsa firmata ci siano deforestazione, violazioni dei diritti umani e territori indigeni devastati. Un tema scomodo per la moda, ma cruciale per il futuro del pianeta.