Artico, Pompeo all’attacco. E mette nel mirino Mosca e Pechino

Gli Usa aprono un nuovo fronte di tensione. Al vertice tra i paesi dedicato al cambiamento climatico nell'Artico il segretario di stato Mike Pompeo spiazza tutti: “d'ora in poi vogliamo contare di più”

Artico, Pompeo all’attacco. E mette nel mirino Mosca e Pechino

In tempo di cambiamento climatico non c'è alcun cambiamento in tema di contrasti tra Stati per il predominio globale. La lotta al surriscaldamento può attendere se ci sono in ballo interessi geo-strategici considerati prioritari rispetto a ogni altra emergenza. Una lezione in tal senso è arrivata, ancora una volta, dagli Stati Uniti. La cattedra da cui è stata impartita - la lezione, appunto – è stata la riunione dell'Arctic Council tenutosi a inizio maggio a Rovaniemi, in Finlandia.

Il Consiglio Artico è un consesso abbastanza tranquillo degli otto Paesi che si affacciano all'estremo Nord o che comunque vi hanno interessi. Oltre agli Otto, hanno rappresentanti anche le popolazioni indigene di quelle terre climaticamente estreme. Ed era proprio il clima il tema centrale di quest'ultima sessione d'incontri. L'Artico sta incredibilmente soffrendo l'effetto serra, anzi lo sta sentendo più di tutti. Sembrerà un paradosso eppure è la regione che ha subito l'impatto maggiore dal surriscaldamento del pianeta: in questi ultimi 5 anni la media delle temperature è al massimo dall'inizio delle rilevazioni, cioè dal 1900.

Di questo si parlava tra gli Otto e di come potersi impegnare di più per salvare un ecosistema così particolare e fragile. Il discorso di Mike Pompeo ha suscitato tra i delegati una sopresa tale a una irruzione fragorosa in casa propria. Perché il segretario di Stato americano ha parlato di tutt'altro e con toni tutt'altro che concilianti. “La regione è diventata un'arena di potere e competizione globale. Per gli Usa è il momento di ergersi a nazione artica”. E poì giù con nomi e cognomi di chi dà fastidio all'America a trazione trumpiana.

Naturalmente il bersaglio di Pompeo e di Trump sono in realtà due: Mosca e Pechino. Ambedue presenti al Consiglio Artico con propri diplomatici. Non piace, alla Casa Bianca, che la Cina approfitti dello scioglimento dei ghiacci e stia attuando infrastrutture di collegamento nel Mare Artico, d'intesa con la Russia, che ne avrebbe geograficamente il diritto. “Conosciamo le politiche aggressive cinesi in altre località del mondo”, ha detto Pompeo che ha annunciato, senza troppi giri di parole, che d'ora in poi, nell'Artico cambia tutto: ”stiamo entrando in una nuova era, di impegno strategico, alla luce di nuove minacce”.

“Una brutta nuova era” l'ha bollata il capo delegazione cinese, Gao Feng. E non molto dissimili le reazioni degli altri paesi: “alle riunioni c'erano sette paesi da una parte e uno, gli Usa, dall'altra”, ha detto un altro diplomatico. E gli Usa non hanno fatto solo dichiarazioni d'intenti “proprie”. Hanno anche impedito che ci fossero dichiarazioni comuni finali. Hanno di fatto affossato il documento finale che doveva contenere un impegno contro la lotta ai gas-serra e un richiamo agli accordi di Parigi del 2015. D'altronde da quegli accordi l'America di Trump è voluta platealmente uscire. E la sfida lanciata ora tra i ghiacciai del Polo Nord alla Cina non è casuale neanche nei tempi: avviene nel pieno del braccio di ferro sui dazi commerciali e l'obbiettivo americano è arginare i cinesi in ogni area.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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