
Oggi in Europa le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. Una delle cause? La mancanza di trasparenza salariale. Ma dal 2026 le cose cambiano: grazie alla direttiva Ue 2023/970, ogni lavoratore potrà conoscere gli stipendi medi, divisi per genere e mansione, all’interno della propria azienda.
Addio al tabù sullo stipendio
Non sarà più possibile inserire nei contratti clausole che vietano di parlare della propria retribuzione. Ogni dipendente avrà il diritto di chiedere (e ottenere entro due mesi) dati chiari sui livelli retributivi medi. E se i dati saranno incompleti, potrà insistere. Il datore di lavoro dovrà anche ricordare ogni anno questo diritto ai suoi dipendenti.
Cosa cambierà davvero per chi lavora
Prima dell’assunzione, i candidati dovranno essere informati sul salario previsto per la posizione. Le aziende non potranno più chiedere quanto si guadagnava nel lavoro precedente. E le differenze retributive saranno ammesse solo se giustificate da criteri trasparenti.
Le imprese? Meglio arrivare preparati
La direttiva è anche un’opportunità. Le aziende che si adeguano in tempo potranno evitare sanzioni, rafforzare la propria reputazione e attrarre più talenti. La trasparenza aumenta fiducia e senso di equità. E per molte imprese può diventare un vantaggio competitivo.
Certificazione di genere: chi è già avanti
Alcune imprese si sono già mosse, adottando la “certificazione di genere” e i principi della nuova direttiva. Risultato? Più attenzione a welfare, formazione e carriera delle donne. Ma i dati parlano chiaro: le donne sono ancora sottorappresentate nei ruoli dirigenziali e il gender pay gap cresce con l’età.
Maternità vista come valore
Uno studio di Odm Consulting mostra che il 75% delle PMI certificate vede la maternità come una risorsa e non un costo. Offrono più congedi, formazione al rientro e supporto concreto ai genitori. Le aziende non certificate? Molto più indietro.