C’è un combustibile fossile ancora inutilizzato: salverà o surriscalderà la Terra?

L’idrato di metano potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico globale per 100 anni, ma l'estrazione rischia di rivelarsi catastrofica per il clima

C’è un combustibile fossile inutilizzato: salverà o surriscalderà la Terra?

Quando pensiamo alle riserve di combustibile del pianeta, probabilmente, immaginiamo giacimenti petroliferi o miniere di carbone a cielo aperto. Ma cosa succederebbe se il più grande deposito di energia fossile della Terra fosse in realtà una fonte meno accessibile e ancora inutilizzata di gas naturale? È il controverso fracking, ovvero la perforazione della crosta terrestre, che avviene iniettando una miscela ad alta pressione a base di acqua, sabbia e sostanze chimiche e che consente di far defluire il gas intrappolato nella roccia.

Si tratta di una tecnica utilizzata già da alcuni anni, che potrebbe ora essere applicata ad una risorsa ancora poco conosciuta e che può essere estratta proprio attraverso il fracking. È il metano intrappolato nei cristalli di ghiaccio a temperature estremamente basse. La sostanza che ne deriva è definita "fuoco e ghiaccio", mentre la denominazione scientifica è idrato di metano. Si trova in due luoghi sulla Terra, sotto il fondale oceanico e sotto i terreni artici perennemente ghiacciati. La stima sulla quantità supera le riserve disponibili di qualsiasi altro combustibile fossile. Ciò significa che la vita di questo tipo di energia potrebbe prolungarsi per oltre un secolo.

L’impatto ambientale, tuttavia, potrebbe rivelarsi elevato con il pericolo di far “friggere” il pianeta. Il metano contiene carbonio: bruciando rilascia meno CO2 nell'atmosfera rispetto a carbone e petrolio, ma le emissioni continuano a contribuire al cambiamento climatico. “Se, da un lato, l'estrazione idraulica del gas naturale produce energia più pulita, dall’altro il metano influisce sul riscaldamento globale 28 volte di più rispetto all'anidride carbonica presente in altri combustibili fossili”. A sostenerlo è un recente rapporto UNCTAD, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di commercio e sviluppo. Pertanto, il rischio è di accelerare lo scioglimento delle calotte artiche, il che potrebbe a sua volta causare la dispersione di una quantità ancora maggiore di metano. Sarebbe un clamoroso effetto boomerang.

In compenso, l'accesso a questo idrocarburo volatile potrebbe portare una buona notizia per il clima. Un team di scienziati statunitensi e giapponesi ha trivellato nel 2012 un giacimento di metano idrato nel North Slope dell'Alaska e iniettato una miscela di anidride carbonica e azoto nel pozzo. È stata, quindi, ridotta la pressione, dando la possibilità al metano di essere rilasciato. Il risultato è che la quantità di anidride carbonica che fuoriusciva era inferiore, mentre quella di metano maggiore, suggerendo che il biossido di carbonio veniva catturato dal composto. Ciò significa che potrebbe essere possibile rimuovere i gas serra dall'atmosfera mentre si estrae il metano.

Anche in questo ottimistico scenario, tuttavia, resterebbe irrisolto il problema del complessivo impatto ambientale legato al fracking. Il processo utilizza significative quantità di acqua, può causare terremoti e impiega sostanze chimiche potenzialmente pericolose, che possono contaminare le falde. Pur considerando tali svantaggi, secondo l’UNCTAD, “la perforazione può essere considerata come un utile ponte verso le rinnovabili”. Non sarebbe, invece, preferibile accelerare il processo di transizione verso energie più “pulite” piuttosto che continuare ad investire sul fracking?

Questo articolo è stato precedentemente pubbblicato su La Stampa - Tuttogreen

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