
Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina stanno ridisegnando la mappa strategica delle materie prime. Al centro del dibattito ci sono le terre rare, 17 elementi fondamentali per la produzione di tecnologie avanzate: dai microchip alle batterie, dalle turbine eoliche ai veicoli elettrici. La mossa di Pechino di limitare le esportazioni in risposta ai dazi imposti da Washington ha colto di sorpresa molte aziende. E ora sono in molti a cercare un’alternativa.
Tutti gli occhi sul Brasile
Secondo il Wall Street Journal, la scommessa più promettente è il Brasile, che custodisce giacimenti di terre rare stimati in 21 milioni di tonnellate: la seconda riserva mondiale dopo la Cina. Si tratta di depositi dieci volte più grandi di quelli statunitensi, pari a oltre un quinto delle riserve globali. Un potenziale strategico che potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici ed economici.
Opportunità bloccata da costi e burocrazia
Ma non è tutto oro quel che luccica. Il settore minerario brasiliano è noto per la sua burocrazia e per un impianto normativo che scoraggia gli investitori stranieri. Oggi, estrarre e lavorare terre rare in Brasile costa tre volte più che in Cina. A complicare il quadro, la scarsa disponibilità di tecnologie occidentali capaci di gestire l’intero ciclo produttivo.
Una corsa a ostacoli
Per gli Stati Uniti affrancarsi dalla dipendenza cinese è una priorità strategica. Ma colmare il divario produttivo in tempi rapidi è una sfida complessa. Probabilmente impossibile da vincere nel breve-medio periodo. Anche perché la Cina estrae circa il 70% delle terre rare del mondo. E raffina il 90% di quelle estratte a livello globale.