
Ernesto Maria Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, nel suo ultimo libro (‘Più uno: La politica dell’uguaglianza’) inserisce un dato eloquente: “Le entrate erariali che possono ancora essere considerate progressive non raggiungono neanche il 40% del totale”.
Il resto, oltre il 60% delle tasse pagate in questo Paese, ormai non è più calcolato sulla base della capacità dei cittadini di contribuire (come invece prevede la Costituzione).
È ormai quasi tutto ‘flat’
È semplicemente ‘flat’, uguale per tutti come aliquota, ma riservato a pochi e profondamente diseguale proprio a causa della diversità dei redditi e dei patrimoni: sono le flat tax degli autonomi, le cedolari secche sugli affitti, i prelievi sui redditi da capitale, sulle successioni, quelli sulla rivalutazione ad aliquota ridotta di attività non quotate, i redditi dominicali agricoli che in certi casi consentono di calcolare somme irrisorie; sono naturalmente le imposte indirette, ma sono soprattutto una miriade di regimi speciali in gran parte a favore di 4,6 milioni di contribuenti (su 42 milioni) soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche.
Con o senza evasione, il fisco è diventato ingiusto
L’accumularsi di regimi speciali per elettori ‘speciali’ fa sì che in Italia la progressività delle tasse – la sua equità – sia molto indebolita. Anche se fosse senza evasori, il Paese sarebbe fiscalmente molto ingiusto.
Il tema non è al centro del confronto politico
Alla fine il trattamento più iniquo è quello del lavoro dipendente che di fatto è senza regimi di favore. Ma il tema non sembra essere entrato nell’agenda del governo e neanche del Paese. Eppure, non è giunto il momento di rimettere la giustizia fiscale al centro del dibattito pubblico?