Ecco perché il vertice Draghi-Merkel sui migranti è stato un flop

Al di là degli annunci pomposi rilasciati nella conferenza stampa dopo l’incontro, molti paesi, tra i quali Germania e Francia, non vogliono sentir parlare di redistribuzione dei migranti. La soluzione è pagare a peso d’oro in particolare la Turchia per trattenere i profughi sul proprio territorio

Ecco perché il vertice Draghi-Merkel sui migranti è stato un flop

A leggere i titoli della maggior parte dei media europei il vertice a Berlino, principalmente sulla gestione dell’immigrazione, tra il premier Mario Draghi e la cancelliera Angela Merkel è andato bene. Ma è davvero così?

Sul dossier migranti - ha detto Draghi nella conferenza stampa congiunta al termine del bilaterale – l’impegno “è aiutarsi reciprocamente. Abbiamo vicinanze di vedute sulla dimensione esterna del tema”. C’è una parola che spiega la reale entità dell’intesa tra i due: ‘esterna’. Concetto poi chiarito dalla Cancelliera tedesca. “L’Italia - ha detto Angela Merkel - è un Paese di arrivo, noi siamo colpiti dai flussi secondari. Occorre iniziare ad agire dai Paesi di provenienza e su questa gestione siamo completamente d’accordo”.

Proviamo a tradurre. Nessun accordo sulla redistribuzione, tantomeno automatica, dei migranti tra i paesi dell’Ue. Eppure il presidente francese, Emmanuel Macron, a Berlino, in conferenza stampa con Angela Merkel, a margine di un bilaterale dei giorni scorsi aveva detto: “Tutti gli Stati nell’Ue devono prestare una forma di solidarietà nella questione della migrazione”. Un annuncio che però nella realtà non assume una qualche forma concreta. E c’è anche un fattore che complica il reale obiettivo del governo italiano (la redistribuzione): le elezioni politiche in Germania (a settembre) e in Francia (nel 2022). Una scelta troppo assecondante con il nostro paese potrebbe costare salata in termini elettorali per i partiti al governo a Berlino e Parigi.

Tuttavia, su un punto, i tre paesi sono d’accordo. Trattenere i migranti oltre i confini europei. A cominciare, innanzitutto, dal rinnovo del costoso accordo (6 miliardi di euro già pagati dal 2015) con la Turchia di Erdogan. E stringere una collaborazione ancora più fattiva con Tripoli e Tunisi. Altro che redistribuzione. Meglio pagare e chiudere gli occhi.

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