Pnrr, l’Italia ha speso appena il 6% dei 168 miliardi totali. Perché?

La relazione dei magistrati contabili: “Per il Recovery, fino ad ora, l’Italia ha speso solo 10 miliardi”. In ballo la rata da 19 miliardi di euro di fine dicembre ancora da sbloccare.

Pnrr, speso appena il 6% dei 168 miliardi totali

L’abito non fa il monaco. Stando alla relazione della Corte dei Conti, le 55 scadenze europee di dicembre del 2022 sono state rispettate. Per quanto riguarda invece gli obiettivi nazionali che il governo si è autoassegnato, su 52 traguardi alla fine dell’anno scorso ne risultavano raggiunti 32.

Il vero nodo riguarda in realtà la spesa effettiva, che la Corte dei Conti stima per il triennio 2020-2022 più bassa rispetto alle previsioni iniziali di oltre 20 mld (-49,7%).

Occorre precisare che, in seguito alle revisioni apportate al cronoprogramma finanziario, le risorse avanzate sono state spalmate negli anni seguenti, con un picco che verrà toccato nel 2024-2025, quando gli stanziamenti annuali saranno pari a circa 45 mld.

Tornando al recente passato, i magistrati contabili stimano le spese sostenute a fine 2022 pari a 23 mld, appena il 12% delle risorse totali (191,5 mld). La percentuale diminuisce ulteriormente se dai calcoli si escludono gli incentivi già previsti in altri programmi di spesa e, in seguito, fatti transitare nel Pnrr. Al netto di questi incentivi, la spesa effettiva si abbassa a 10 mld, il 6% dei 168 mld totali.

Perché? Come è stato possibile? Ci sono probabilmente più motivi che spiegano questo ritardo. Di sicuro, le carenze strutturali in termini di risorse umane e di competenze all’interno degli enti locali, effettivi destinatari di numerosi progetti legati al Pnrr, sono tra le cause principali.

I governi che si sono susseguiti hanno pensato di risolvere il problema con un massiccio coinvolgimento di consulenti, con contratti il più delle volte annuali e rinnovabili 2-3 volte. Peccato che, come noto, il numero di specialisti coinvolti è risultato essere nettamente inferiore alle attese.

E, soprattutto, la speranza di coinvolgere menti brillanti (che normalmente sono già sistemate dal punto di vista occupazionale e difficilmente accettano un incarico precario seppur ben retribuito) è svanita rapidamente. Il risultato è stato, sia dal punto quantitativo che qualitativo, ben al di sotto delle attese (o meglio speranze). E si traduce nei numeri crudi della Corte dei Conti.

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