Le sanzioni non spaventano Mosca. Ecco perché

Le sanzioni non spaventano Mosca. Ecco perché

Da otto anni sono in vigore le sanzioni contro la Russia decise dopo l’annessione della Crimea nel 2014 – e le misure aggiuntive imposte dopo l’interferenza di Mosca nelle elezioni del 2016 e dopo il cyberattacco SolarWinds nel 2020, che ha sabotato i programmi informatici utilizzati dal governo federale e dalle aziende americane – ma non è chiaro quali siano stati i loro veri effetti.

L’economista Alessia Amighini fa il punto della situazione. Cosa dice l’evidenza empirica sull’efficacia delle sanzioni economiche? “Mostrano che tendono a non avere effetto quelle imposte unilateralmente e con limitati costi economici – spiega Amighini - in quanto vengono più facilmente aggirate rivolgendosi a paesi disponibili a sostenere quelli sanzionati. Infatti, ogni regime di sanzioni rimane vulnerabile agli stati che, attratti dai potenziali benefici o profitti, ne vanificano l’effetto complessivo.”

“Le sanzioni spesso costringono gli stati sanzionati a chiudersi e sostituire le importazioni, tentando di sviluppare le proprie industrie per diventare autosufficienti – prosegue l’economista -. La stessa Russia si vanta per la sua politica di ‘sostituzione delle importazioni’, in atto dal 2014. A lungo termine, questo ha l’effetto di rendere lo stato sanzionato più autosufficiente e meno dipendente dalle importazioni e dai beni di altri paesi.” Quindi? Gli effetti delle sanzioni, se poco incisive e facilmente aggirabili, tendono in pratica a diventare inefficaci nel tempo. Sembra essere proprio il caso della Russia dopo il 2014.

“Oggi, le crescenti relazioni economiche con la Cina danno alla Russia la fiducia di poter sopportare ulteriori inasprimenti nelle sanzioni – argomenta Amighini -. Le due economie si completano naturalmente a vicenda. Specularmente alla Cina, la Russia ha un’enorme dotazione di risorse naturali, ma ha bisogno di tecnologia e capitale. Pechino si è impegnata a decarbonizzare la sua economia entro il 2060, e il passaggio dal carbone al gas naturale fa parte della strategia cinese per raggiungere l’obiettivo.”

Il commercio tra il paese più esteso al mondo e quello più popoloso, nonché la seconda economia a livello globale, è cresciuto da 10,7 miliardi di dollari nel 2001 a quasi 140 mld nel 2021 ed è destinato a espandersi ulteriormente con progetti già avviati come il gasdotto Power of Siberia, che raggiunge la piena capacità di 36 bcm/anno, e il lancio di nuove iniziative come il Power of Siberia 2, con 50 bcm/anno di capacità. Pechino vuole assicurarsi l’accesso alle materie prime trasportate su rotte terrestri sicure da uno stato amico, mentre Mosca vuole diminuire la sua dipendenza dai mercati europei e monetizzare le risorse naturali prima che la transizione energetica globale si abbatta sui prezzi degli idrocarburi nei prossimi decenni.

Sotto il profilo finanziario, secondo Reuters, nel 2014 la Russia ha creato il proprio sistema di pagamento con carta (Mir, che in russo significa “mondo” o “pace”), perché temeva che le sanzioni statunitensi ed europee contro alcune banche e uomini d’affari russi per l’annessione della Crimea potessero bloccare le transazioni effettuate con Mastercard e Visa, che hanno sede negli Stati Uniti.

Aggirando le sanzioni occidentali, la legge attualmente obbliga i dipendenti pubblici a ricevere i loro stipendi sulle carte Mir. Anche i pagamenti delle pensioni, così come i sussidi per i figli e la disoccupazione, saranno pagati solo con le carte Mir, per raggiungere una quota di mercato del 30% nei prossimi due anni. Le carte Mir saranno inoltre operative in alcune banche in dodici paesi stranieri.

Sono proprio questi canali finanziari paralleli al sistema del dollaro il fattore nuovo che potrebbero trasformare in un boomerang le sanzioni occidentali.

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