
Per anni, Nigel Farage e i tabloid britannici hanno alimentato il mito dei “polacchi che invadono il Regno” e “vivono a spese del welfare”. Ma la storia ha preso una piega inattesa: dopo il referendum sulla Brexit del 2016, centinaia di migliaia di cittadini dell’Est, soprattutto polacchi, hanno lasciato il Regno Unito, tornando in patria. Oggi, il risultato è sorprendente: l’economia polacca cresce più rapidamente di quella britannica, e Varsavia è diventata uno dei nuovi poli di sviluppo europeo.
L’effetto Brexit: Londra paga il prezzo della chiusura
L’uscita britannica dall’Unione Europea ha ridotto drasticamente la forza lavoro straniera, in particolare nei settori chiave come logistica, edilizia e sanità. Mentre il Regno Unito fa i conti con bassi tassi di produttività e inflazione persistente, la Polonia ha attirato investimenti, innovazione e giovani talenti rientrati con nuove competenze. Il ritorno dei lavoratori emigrati ha infatti innescato un effetto boomerang positivo: le esperienze maturate all’estero si sono trasformate in capitale umano e imprenditoriale.
Varsavia, la nuova storia di successo dell’Est
Oggi Varsavia è un hub economico dinamico, capace di competere con Berlino e Parigi per attrarre capitali internazionali. Il Pil pro capite polacco, secondo le ultime stime del FMI, si avvicina ormai a quello del Regno Unito in termini di parità di potere d’acquisto — un traguardo impensabile solo un decennio fa. Il Paese ha beneficiato di una gestione economica prudente, fondi europei e un settore tecnologico in piena espansione.
La lezione (amara) per Londra
La Brexit doveva restituire “sovranità e prosperità” al Regno Unito. Invece, ha accelerato un declino economico relativo, mentre i Paesi dell’Est europeo – un tempo considerati marginali – stanno guadagnando terreno. Ironia della sorte: coloro che venivano accusati di “rubare il lavoro” ora creano ricchezza in patria, mentre la Gran Bretagna affronta la scarsità di manodopera qualificata e un rallentamento strutturale.


				
			







