Per l'Italia, la via della seta non è sul velluto

Il presidente del Consiglio Conte si appresta a firmare con il presidente della Cina Xi Jinping, il 22 marzo a Roma, la Belt and Road Initiative, il gigantesco piano infrastrutturale finanziato da Pechino per potenziare i collegamenti commerciali - e non solo - tra la Cina, l'Asia e l'Europa

Per l'Italia, la via della seta non è sul velluto

In merito all'Ecofin di Bruxelles, l'home page delle maggiori testate giornalistiche il 12 marzo è stata certamente monopolizzata dalla nuova lista nera dei paradisi fiscali. I resoconti parlano di una sostanziale resa del governo italiano che ha dovuto accettare ciò che inizialmente non avrebbe voluto, e cioè l'inclusione, in quella lista poco onorevole, anche degli Emirati Arabi.

Ma il governo italiano, nelle vesti del ministro dell'economia Tria, è stato messo sotto pressione anche per un altro, non meno importante, tema: l'ormai celeberrimo “memorandum d'intesa” per la Belt and Road Initiative (BRI) che il presidente del consiglio Conte si appresta a firmare con il presidente della Cina Xi Jinping, il 22 marzo a Roma. E qui sono entrati in campo altri siti d'informazione, che hanno pubblicato il 12 marzo per la prima volta il testo integrale del documento che riguarda il gigantesco piano infrastrutturale finanziato da Pechino per potenziare i collegamenti commerciali - e non solo - tra la Cina, l'Asia e l'Europa.

L'Italia sarebbe il primo paese del G7 a entrare nell'orbita della Nuova Via della Seta. Già quattro giorni fa, al solo “evocare” i contenuti dell'accordo, gli Stati Uniti avevano mostrato tutta la loro preoccupazione al governo Conte. E 'quoted business' era stato tra i primi a riferirne.

C'è da dire che l'Italia non è rimasta da sola a lungo, quale destinaria dei timori USA. Poco dopo, la Germania, ha ricevuto un vero e proprio ammonimento, anche più diretto di quanto indirizzato all'Italia: “Berlino non faccia entrare Huawey nella costruzione del 5G tedesco”. È sempre il colosso cinese delle telecomunicazioni la vera ossessione della Casa Bianca e l'arresto in Canada della direttrice finanze Meng Wanzhou ne è da tempo la più lampante riprova.

Nel memorandum d'intesa sino-italiano di Huawey, ovviamente, e ancor meno di rete 5G, non c'è traccia. Ma a chi ci si potrà mai riferire quando, nel testo, si parla di “sviluppo delle infrastrutture di connessione” e, tra queste, proprio all'ultimo punto delle aree di mutuo interesse, si citano le “telecomunicazioni”?

The Parties will cooperate in the development of infrastructure connectivity, including financing, interoperability and logistics, in areas of mutual interest (such as roads, railways, bridges, civil aviation, ports, energy –including renewables and natural gas- and telecommunications).

E infatti nell'ambito del governo italiano, da Conte in giù, al momento nessuno si è messo in scia con le preoccupazioni americane. La stessa Lega, la più tiepida nei confronti del memorandum, sembra invece rientrare nella piena convinzione dell'operazione di avvicinamento al Dragone. Il sottosegretario allo Sviluppo Michele Geraci ha postato un tweet proprio per tranquillizzare Washington: “Gli alleati americani saranno positivamente sorpresi dopo aver letto il Memorandum of Understanding: l'obiettivo dell'accordo infatti è quello di portare la Cina verso gli standard occidentali”. 

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