
I 31 membri della Nato hanno raggiunto un’intesa storica: entro il 2035 tutti dovranno portare la spesa militare al 5% del prodotto interno lordo. Una soglia mai vista nella storia recente, che segna una netta accelerazione nella corsa agli armamenti, in pieno clima di riarmo globale e tensioni crescenti con Russia, Cina e Iran.
Sánchez ottiene lo sconto per la Spagna
Ma c’è un’eccezione. Il premier spagnolo Pedro Sánchez è riuscito a ottenere un’esenzione temporanea per Madrid, che non sarà obbligata a toccare da subito la quota del 5%. Una vittoria diplomatica interna, vista la forte opposizione dell’opinione pubblica spagnola all’aumento delle spese militari.
Le cifre della svolta
Attualmente solo 11 dei 31 Paesi Nato rispettano l’obiettivo “storico” del 2% del PIL in spese militari. Ora si punta al più che raddoppio. Per fare un paragone: l’Italia oggi spende circa l’1,5% del PIL in Difesa (anche se il governo italiano sostiene che la percentuale è salita al 2 includendo una serie di voci aggiuntive). Portarsi al 5% significherebbe triplicare l’attuale budget, mettendo in discussione risorse destinate a welfare, istruzione e sanità.
Un cambio epocale per l’Europa
L’accordo segna una svolta strategica per il continente europeo: da “ombrello difensivo” a protagonista armato della geopolitica globale. Ma in un momento di rallentamento economico, inflazione e crisi sociali, l’aumento della spesa militare rischia di essere un boomerang politico e sociale.
Chi paga il riarmo?
Con le tensioni internazionali ai massimi livelli e la guerra in Ucraina ancora in corso, la Nato sceglie di blindarsi con nuove spese record. Ma resta una domanda aperta: quali saranno le conseguenze economiche e politiche per i cittadini europei, già alle prese con inflazione, rincari e tagli al welfare?