
Sono circa 185 miliardi di euro gli asset russi congelati in Europa dopo l’invasione dell’Ucraina. Una cifra enorme, che potrebbe finanziare la ricostruzione di Kiev. Ma dietro l’operazione una molteplicità di rischi.
Belgio
Il 90% degli asset russi congelati si trova in Belgio, depositato presso Euroclear, una delle più grandi piattaforme finanziarie mondiali. Bruxelles teme uno scenario preciso: se un tribunale internazionale dovesse stabilire che l’uso di quei fondi equivale a un esproprio, il Belgio potrebbe essere costretto a rimborsare Mosca di tasca propria. Un rischio insostenibile per un’economia da circa 560 miliardi di Pil.
Un capro espiatorio europeo
Accusare il Belgio di bloccare tutto è semplice, ma fuorviante. Sempre più osservatori ritengono che altri governi europei si stiano nascondendo dietro le cautele belghe, evitando di esplicitare le proprie resistenze. In prima linea: Germania, Francia e Italia.
La Germania e la clausola che paralizza il meccanismo
Berlino sostiene formalmente l’uso degli asset russi a favore dell’Ucraina. Ma ha imposto una condizione chiave: il titolo di debito che la Commissione europea dovrebbe consegnare a Euroclear non deve produrre interessi né essere negoziabile. Una scelta che ha conseguenze pesanti: Euroclear non potrebbe usare quel titolo come garanzia presso la Bce per ottenere liquidità. In caso di restituzione forzata dei fondi alla Russia, la piattaforma rischierebbe il default.
Un rischio sistemico per l’Europa
Euroclear non è una banca qualunque: intermedia titoli per oltre 100mila miliardi di euro ogni tre mesi e ne custodisce altri 42mila miliardi. Un suo fallimento avrebbe un impatto potenzialmente più grave del crack Lehman Brothers. La soluzione tecnica esisterebbe — rendere il titolo fruttifero o rivendibile — ma per Berlino assomiglierebbe troppo a un eurobond, tabù politico per il cancelliere Merz sotto la pressione dell’AfD.
Italia e Francia
Il Belgio non dice “no” all’uso degli asset, ma chiede garanzie vincolanti dagli altri Paesi Ue: se Euroclear fosse costretta a rimborsare Mosca, il costo dovrebbe essere condiviso. Per Italia e Francia questo significherebbe impegnarsi per circa 25 miliardi ciascuna, da attivare solo in caso estremo. Ma per farlo servirebbe un passaggio parlamentare. Politicamente esplosivo, secondo Roma e Parigi.
La ragione meno confessabile
C’è poi un fattore ancora più delicato. Imprese francesi e italiane hanno interessi rilevanti in Russia e temono ritorsioni. TotalEnergies è coinvolta in grandi progetti energetici russi. Aziende italiane come Ferrero, Cremonini e De’ Longhi operano ancora nel Paese. Dal 2022, almeno mezzo miliardo di utili italiani è bloccato in Russia e verrebbe probabilmente sequestrato in caso di utilizzo degli asset congelati.








