I frugali dicono: mentre noi sopportiamo aliquote altissime e gli italiani evadono le tasse, il loro governo concederà nuovi sgravi con i nostri soldi attraverso il Recovery Fund.
Una cosa è certa. Austria, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia, con le Repubbliche baltiche a supporto in posizione leggermente più defilata sono una nuova realtà. Hanno qualcosa in comune: sono piccole economie, efficienti, e strutturate. Gran parte del loro reddito proviene dall’export verso i Paesi vicini.
La Commissione europea stima che ogni anno olandesi e austriaci ottengano benefici dal mercato europeo pari a circa 5 mila euro per abitante (contribuendo meno di 500 euro), mentre italiani, francesi o spagnoli per circa 2 mila (contribuendo non molto meno dei Nordici). Questo spiega parte del problema. I frugali sono risentiti con Spagna e soprattutto Italia, perché non capiscono come Madrid e Roma non riescano a organizzarsi per cogliere al meglio i benefici dell’euro e dei mercati aperti.
I governi del Nord provano poi un malcelato risentimento verso la Francia, perché dal presidente Emmanuel Macron non si sono sentiti trattati con pari dignità. Ma sono insofferenti anche verso Angela Merkel, dalla quale si sentono traditi: Berlino in primavera ha stretto un accordo con Parigi per sostenere Italia e Spagna con il Recovery Fund, mettendo da parte gli alleati tradizionali dei Paesi più piccoli.
Ecco perché i fendenti di Rutte alle proposte di compromesso di questi giorni e le sue rasoiate all’Italia sono in realtà colpi indiretti a Merkel. Sono una scommessa sul fatto che la cancelliera, in uscita dal 2021, sia in realtà un’anatra zoppa; i Nordici sperano in un nuovo leader tedesco più affine a loro.
La partita sul Recovery Fund è quasi chiusa. Ma la lotta dei Paesi piccoli contro i grandi, e contro l’idea stessa di un’Europa politica, non è che all’inizio.
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