
Javier Milei lo ha rifatto. A meno di due anni dalla sua clamorosa vittoria presidenziale, il leader ultraliberista ha ribaltato ogni previsione, portando La Libertad Avanza (LLA) al 40,84% alle elezioni di metà mandato e conquistando la provincia di Buenos Aires, storico bastione del peronismo progressista. Un risultato che ridisegna la mappa politica argentina: 64 seggi per Milei contro i 31 della coalizione di sinistra Fuerza Patria (FP), che solo un mese fa sembrava aver riconquistato terreno.
Affluenza record al ribasso e un elettorato stanco
La partecipazione si è fermata al 67,85%, il livello più basso dal ritorno alla democrazia nel 1983.
Un segnale preoccupante per la stabilità del sistema politico e per lo stesso Milei, che aveva puntato tutto su una “spinta popolare” per accelerare la sua agenda di riforme radicali al Congresso. Secondo gli analisti, la bassa affluenza ha però finito per favorire la destra libertaria, sostenuta da una base militante più motivata e fidelizzata.
I mercati tirano un sospiro di sollievo
La vittoria di Milei ha immediatamente acceso l’entusiasmo degli investitori. Gli analisti si aspettano una reazione positiva di bond e azioni argentine, mentre Washington applaude: gli Stati Uniti di Donald Trump avevano recentemente promesso un pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari per sostenere il peso e la stabilità dell’esecutivo. Un’intesa che rafforza il legame tra i due leader, uniti da una visione economica ultraliberista e anti-statalista.
Inflazione in calo, ma a caro prezzo
Dal 200% al 31% in un anno: i numeri dell’inflazione raccontano il principale successo economico di Milei. Ma dietro il risultato si nascondono tagli durissimi alla spesa pubblica, anche in settori sensibili come sanità ed educazione, che hanno alimentato un crescente malcontento sociale.
Il consenso del presidente, passato dal 56% al 38% in dodici mesi, sembrava in declino prima di questa rimonta elettorale.
Scandali e ombre: la “zona grigia” del mileismo
Il voto arriva dopo mesi difficili per il governo. Dallo scandalo della cripto “Libra”, crollata dopo la promozione social di Milei e della sorella Karina, fino alle accuse di corruzione e finanziamenti illeciti al candidato Luis Espert nella provincia di Buenos Aires. Vicende che avevano scalfito l’immagine del “presidente anti-casta”, ma che non hanno frenato il suo elettorato più fedele.
Il peronismo senza guida
La sinistra argentina appare allo sbando. Con Cristina Fernández de Kirchner ai domiciliari per corruzione e un Axel Kicillof incapace di catalizzare entusiasmo, Fuerza Patria si è affidata più al logoramento di Milei che a un progetto politico coerente. Il risultato è stato un nuovo tracollo, simbolo di una crisi strutturale del peronismo, che fatica a rinnovarsi dopo decenni di dominio.
Milei ora promette “la seconda rivoluzione”
Nel suo comizio finale a Rosario, senza più la celebre motosega, Milei ha scelto toni più istituzionali: “Non arrendiamoci. Cambieremo l’Argentina sul serio.” Per il presidente libertario, questa vittoria è la conferma che la sua rivoluzione economica non si ferma. Ma la sfida ora sarà politica: governare un Paese spaccato, con il rischio di logorarsi tra austerità, proteste e mercati impazienti.










