A Caracas è caos. Guaidò si autoproclama presidente

Il leader dell'Assemblea nazionale, Juan Guaidò, si autoproclama presidente. Trump lo riconosce, Maduro caccia i diplomatici Usa. Le proteste finiscono nel sangue. Il Paese, con le più grandi riserve petrolifere al mondo, è allo stremo

Il paese è nel caos. Guaidò si autoproclama presidente
Juan Guaidò

"Sì, se puede". L'urlo, che fa tornare in mente quel “Yes we can” che nel 2008 portò l'ex presidente degli Stati Uniti al trionfo, si leva altissimo su Plaza Venezuela a Caracas. Sono decine di migliaia le persone che ascoltano il capo dell'opposizione e leader dell'Assemblea nazionale, Juan Guaidò, giurare sulla costituzione, autoproclamandosi presidente ad interim fino a che non ci saranno nuove elezioni democratiche.

Passano pochi minuti e arriva da Washington il riconoscimento ufficiale nei confronti di Guaidò: "Nicolas Maduro e il suo regime sono illegittimi - afferma Donald Trump - e il popolo del Venezuela ha fatto sentire con coraggio la sua voce chiedendo libertà e rispetto della legge". La risposta non si è fatta attendere, con Maduro che parlando dal balcone a una folla di sostenitori annuncia la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa, dando ai diplomatici americani 72 ore di tempo per lasciare il Paese. Subito dopo l'amministrazione Usa lancia un appello a tutte le capitali occidentali affinché seguano il suo esempio. Il primo a farlo è stato il Canada di Justin Tudeau, seguito da larga parte dei latinoamericani, anche se in soccorso di Maduro arrivano Messico e Bolivia.

Per Maduro, 56 anni, al potere dal 2013 quando successe a Hugo Chavez, è senza dubbio il giorno più lungo, dopo che lo scorso 11 gennaio si è insediato per il suo secondo mandato. E la tensione a Caracas (dove il 23 gennaio sono stati registrati 9 morti) e in tutto il Paese è alle stelle. In rivolta contro Maduro sono soprattutto i quartieri operai di Caracas, quelli che una volta lo sostenevano e che ora, ridotti allo sfinimento da una recessione senza fine, si schierano invece con il giovane ingegnere di 35 anni.

Aumenti del salario minimo a raffica (otto nel 2018, 26 negli ultimi otto anni) e la creazione di una criptomoneta ancorata al petrolio. Le ultime mosse di Maduro non sono riuscite a rianimare un Paese allo stremo. Il bolivar, la valuta locale, non ha di fatto più alcun valore. L’inflazione è fuori controllo: l’Fmi parla di 10.000.000% per il 2019. Eppure il Venezuela è il Paese con le più grandi riserve petrolifere al mondo, ma si fa fatica a trovare alimenti e beni di prima necessità. E per questo i venezuelani continuano a scappare. L’Onu stima che a lasciare il Paese sono stati, nel corso del 2018, in 5 milioni (un sesto della popolazione).

L’isolamento politico del Venezuela non è mai stato così forte. All’insediamento di Maduro, al secondo mandato, c’erano soltanto gli storici alleati (il boliviano Evo Morales, il cubano Miguel Díaz-Canel e il nicaraguense Daniel Ortega) insieme a rappresentanti russi e cinesi, creditori milionari del regime. Sono loro l’ultimo disperato baluardo per Maduro. Ma è troppo tardi.

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