Il governo della Danimarca, Paese più coltivato in modo intensivo al mondo, qualche mese fa aveva già introdotto una tassa climatica sulla CO2 prodotta dall’agricoltura per ridurre le emissioni di gas serra rispetto al 1990. Ora compie un passo più lungo, dichiarando di voler convertire il 15% dei terreni agricoli in foreste e habitat naturali, così da ridurre l’impiego di fertilizzanti.
Queste sostanze hanno provocato anche un grave esaurimento di ossigeno nelle acque danesi e hanno contribuito alla perdita di biodiversità marina. Inoltre, i fertilizzanti possono causare significativi danni anche al suolo (sbilanciamento dei nutrienti, perdita di materia organica, degradazione del suolo, effetti sulla fauna, salinizzazione).
Per ridurre l’utilizzo di terreni a scopi agricoli, la Danimarca ha stanziato 43 miliardi di corone danesi per acquistare terreni dagli agricoltori nei prossimi vent’anni.
Il paese nordico è diventato il primo al mondo a introdurre una carbon tax sull’agricoltura e prevede, sempre nei prossimi due decenni, di piantare un miliardo di alberi sui terreni agricoli.
Ma i punti critici (come detto) non si limitano alla terra: i fertilizzanti utilizzati in agricoltura contengono azoto e fosforo, che possono essere trasportati da piogge o irrigazione nei corpi idrici, determinando eutrofizzazione che a sua volta è causa della formazione di alghe che riducono l’ossigeno nell’acqua. I nitrati e i nitriti, a loro volta, possono contaminare le falde acquifere e rappresentano un rischio per la salute umana.
Per questi motivi, i livelli di ossigeno nelle acque danesi hanno raggiunto livelli preoccupanti. Tale fenomeno è da attribuire principalmente al deflusso di sostanze nutritive provenienti dai fertilizzanti utilizzati nelle aree agricole pianeggianti. Alla luce di quanto dichiarato, l’obiettivo della Danimarca è quello di raggiungere entro il 2030 una riduzione delle emissioni di CO2 equivalenti del 70% rispetto ai livelli del 1990.