Sempre più aziende europee lasciano la Cina e delocalizzano in Vietnam

Una combinazione di tensioni geopolitiche e costi più elevati stanno spingendo le grandi imprese a cercare siti di produzione alternativi. La forte performance economica del Vietnam negli ultimi anni ha attirato l’attenzione delle aziende europee…

Sempre più aziende europee lasciano la Cina e delocalizzano in Vietnam
Hanoi, capitale del Vietnam

Il Vietnam è stato uno dei pochi paesi asiatici a non aver subito una contrazione economica durante la pandemia di coronavirus nel 2020 e nel 2021. Secondo la Banca mondiale, quest’anno il Pil vietnamita dovrebbe crescere di circa il 5,5%. Performance economiche che hanno finito per catturare l’attenzione di alcune importanti aziende europee.

Ad esempio, la tedesca Brose, che ha 11 stabilimenti in Cina, sta attualmente decidendo se aprire una nuova sede di produzione in Thailandia o Vietnam. E, a dicembre, il colosso danese Lego ha annunciato che costruirà in Vietnam una fabbrica da quasi un miliardo di euro. Due casi che rappresentano un fenomeno più ampio che riguarda numerose aziende europee, ora alla ricerca di alternative alla Cina per una serie di motivi.

Salari. Negli ultimi anni, i salari cinesi sono aumentati, rendendo la seconda economia al mondo meno attraente per i produttori a basso costo. Secondo Moody’s Analytics, il salario medio annuo in Cina è passato da circa 5.120 euro nel 2010 a 13.670 nel 2020.

Geopolitica. Le relazioni sull’asse Bruxelles-Pechino si sono deteriorate nel 2021 quando l’Ue ha imposto sanzioni contro la Cina per il trattamento riservato alla minoranza musulmana uigura nella regione dello Xinjiang. Pechino ha reagito emettendo a propria volta sanzioni contro i funzionari dell’Unione e un patto di investimento precedentemente concordato è stato bloccato.

Catene del valore. Nel 2022, la politica ‘zero-Covid’ perseguita da Pechino ha sconvolto le catene di approvvigionamento globali e incrinato la fiducia delle imprese dell’Ue verso la Cina come sito di produzione affidabile.

Tutto ciò ha finito per intaccare l’economia: secondo la Banca mondiale, la Cina potrebbe scendere ben al di sotto degli obiettivi di crescita fissati dal governo centrale per il 2022 (pari al 5,5%)

Intanto si intensificano i rapporti tra l’Ue e il Vietnam, come dimostra l’accordo di libero scambio siglato nel 2020. Il commercio bilaterale è salito a 49 miliardi di euro nel 2021, rispetto ai 20,8 mld del 2012, anno in cui sono iniziati i colloqui sull’intesa di libero scambio Ue-Vietnam (Evfta).

Ma la Cina è troppo grande e avanzata per poter essere sostituita (nell'ambito manifatturiero) dal Vietnam. Basti pensare che i due paesi hanno un Pil pro-capite pari, rispettivamento, a oltre 10mila dollari e poco meno di 3mila, come riporta My Data Jungle.

Inoltre, il disaccoppiamento europeo dalla Cina assume un peso eterogeneo se si guarda ai rapporti commerciali dei singoli paesi. Ad esempio, secondo i dati dell’Oec, le esportazioni tedesche in Cina valevano 99 miliardi di euro nel 2020, rispetto ai 19 mld della Francia. Per Berlino, dunque, la separazione da Pechino sarebbe particolarmente costosa.

C’è, infine, un altro interrogativo, che rimane al momento insoluto. Cosa accadrà nell’ambito della produzione a più alto valore aggiunto? In questo ambito, la Cina resterà l’hub grazie alle sue catene di approvvigionamento? È qui che si gioca la vera scommessa, tensioni geopolitiche permettendo.

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