L’8,5% degli occupati nell’Ue è a rischio di povertà

La percentuale lievita all’11,5% nel caso dell’Italia

L’8,5% degli occupati è a rischio di povertà

Non sono soltanto coloro che un’occupazione non ce l’hanno a essere a rischio povertà, ma anche quelli che il lavoro ce l’hanno: sono i cosiddetti ‘working poor’, i lavoratori che con le loro retribuzioni non riescono a far uscire dalla soglia della povertà loro stessi e il proprio nucleo familiare.

In realtà, il fenomeno dei lavoratori poveri non è recente: è esploso negli anni Novanta nel Vecchio continente (e soprattutto in Italia) in seguito all’introduzione della flessibilità (che si è poi tradotta perlopiù in precarietà) nel mercato nel lavoro.

Tornando ai tempi più recenti, e secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2022 l’8,5 per cento degli occupati dei paesi dell’Ue (sia lavoratori dipendenti che autonomi) dai 18 anni in su viveva in una condizione di rischio di povertà, considerando il nucleo familiare in cui era inserito (per esempio, la numerosità dei componenti e la presenza di altre fonti di reddito).

Infatti, il rischio di povertà è presente quando il reddito disponibile equivalente della famiglia del lavoratore, misurato in modo da poter comparare nuclei familiari diversi, è al di sotto della soglia di rischio di povertà, fissata al 60 per cento del reddito disponibile equivalente mediano (che a differenza della media tiene conto della distribuzione osservata) del paese di riferimento.

Tra gli Stati membri, il più alto tasso di rischio di povertà tra i lavoratori è in Romania (14,5 per cento dei lavoratori), seguita da Lussemburgo (il caso del piccolo Stato è spiegato dall’altro valore mediano dei salari), Spagna e Italia (dov’è, rispettivamente, del 12,9, 11,7 e 11,5). Tra i paesi che invece registrano la più bassa quota di occupati a rischio povertà ci sono Finlandia (2,5), Repubblica Ceca (3,4) e Belgio (3,6).

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