Ue: ok al salario minimo. Ma l’Italia non sarà tenuta ad applicare la direttiva. Ecco perché

Nella nuova direttiva europea ritorna la scala mobile e vengono sdoganati anche gli strumenti di sostegno al reddito di ultimo istanza (ovvero il reddito di cittadinanza)

Ok al salario minimo. Ma l’Italia non sarà tenuta ad applicare la direttiva

L’Ue ha raggiunto un accordo sul salario minimo. Lo ha fatto sapere ufficialmente tramite l'account Twitter della Commissione Affari sociali del Parlamento europeo. La nuova direttiva sul salario minimo europeo attende ora il placet della Plenaria del Parlamento Ue (che tuttavia non può più emendare il testo) e la ratifica del Consiglio Ue. Toccherà poi ai Paesi membri recepirla.

Ma l’intesa raggiunta a Bruxelles non prevede massimi e minimi salariali. La direttiva punta invece a istituire un quadro per fissare salari minimi adeguati ed equi. L’Italia è tra i sei Paesi dell’Ue senza una regolamentazione in materia: il tema è al centro di uno scontro politico nella maggioranza e anima il dibattito tra le forze sociali.

Una direttiva è infatti un atto legislativo che stabilisce un obiettivo che tutti i paesi dell’Ue devono realizzare. Tuttavia, spetta ai singoli paesi definire attraverso disposizioni nazionali come tali obiettivi vadano raggiunti.

Detto ciò, entriamo più nel dettaglio. La stessa direttiva prevede che i paesi nei quali la contrattazione collettiva è superiore all’80% possono non tenerne conto. Ebbene sì, l’Italia è fra questi. Ma visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, il problema è che il dato italiano è sovrastimato visto l’alto numero dei contratti pirata.

Su circa 900 accordi, solo 300 sono siglati da Cgil, Cisl e Uil: in Italia ci sono quasi 600 contratti pirata. Pirata nel senso che vengono siglati solo per pagare meno i lavoratori e riconoscere loro minori diritti e tutele. Firmati, appunto, da organizzazioni di fatto inesistenti o nate solo con l’obiettivo di fare dumping salariale.

Chi ricade in un accordo di questo tipo arriva a percepire fino al 30% in meno di retribuzione rispetto ai loro colleghi, per non parlare di ferie, malattie, maternità, tredicesime, eventuale welfare aziendale ecc.

La questione in gioco è una di quelle mai risolte nel nostro paese: ovvero la rappresentanza. Settore pubblico a parte, non esiste ancora una norma che stabilisca per legge chi è titolato a siglare rinnovi contrattuali che abbiano valore per tutti gli addetti di un dato settore.

Ma torniamo alla direttiva: emerge anche un altro aspetto che in Italia era ormai un tabù, almeno dal referendum del 1985. Che invece in Europa è ora stato sfatato. Perché quello strumento è improvvisamente ricomparso. Nella direttiva sul salario minimo che il ‘Trilogo’ (organismo informale che mette insieme Commissione, Consiglio e Parlamento Ue) ha appena approvato viene infatti resuscitata la ‘scala mobile’, anche se nel testo non si chiama così.

E viene, infine, sdoganato il reddito di cittadinanza.

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