Terre rare e microchip, un’arma a doppio taglio per Pechino

La Cina resta il primo paese al mondo per giacimenti e quantità lavorate di terre rare. Tuttavia, tali minerali sono presenti in abbondanza anche in altri paesi tra cui proprio Giappone, Australia e Usa. Allo stesso tempo, l’industria cinese dipende ancora fortemente dai microchip brevettati all’estero, in particolare negli Usa e a Taiwan

Terre rare e microchip, un’arma a doppio taglio per Pechino

La Repubblica Popolare sta pensando di limitare l’esportazione delle terre rare per danneggiare la produzione militare degli Stati Uniti. Non sarebbe la prima volta che Pechino attua un simile provvedimento. È già capitato nel 2010, quando ha ridotto le vendite all’estero di quasi il 40%, probabilmente per colpire il Giappone (principale partner nel settore) dopo la collisione tra un peschereccio cinese e una nave della guardia costiera nipponica al largo delle isole Senkaku/Diaoyu.

Nel lungo periodo l’affievolirsi del potere negoziale cinese in questo settore potrebbe rendere il provvedimento meno efficace del previsto. La Cina resta il primo paese al mondo per giacimenti e quantità lavorate di terre rare. Tuttavia, tali minerali sono presenti in abbondanza anche in altri paesi tra cui proprio Giappone, Australia e Stati Uniti.

Questi ultimi hanno lanciato diversi progetti per attingere direttamente alle proprie riserve. Inoltre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden potrebbe a breve firmare un ordine esecutivo per ridefinire la catena di approvvigionamento delle terre rare in collaborazione con gli alleati in Asia. Nel medio periodo, ciò potrebbe ridurre consistentemente l’impatto di eventuali blocchi alle esportazioni da parte di Pechino.

Non è escluso che la Repubblica Popolare voglia limitare le esportazioni di terre rare anche per ragioni di natura interna. Negli ultimi anni la domanda cinese di tali materiali ha superato la produzione a causa dell’uso intensivo della tecnologia nelle attività di sviluppo economico e militare. In futuro, Pechino potrebbe aver bisogno di sfruttare maggiormente le risorse naturali proprie e altrui per perseguire gli obiettivi geopolitici.

Inoltre, l’industria cinese dipende ancora fortemente dai microchip brevettati all’estero, in particolare negli Usa e a Taiwan. La Repubblica Popolare ha prodotto solo il 6% dei semiconduttori che ha utilizzato nel 2020. Difficilmente riuscirà a elevare la percentuale fino al 70% fissato per il 2025.

A ciò si aggiunga che la collaborazione tecnologica tra Usa e Repubblica Popolare continua a sfibrarsi. A febbraio il laboratorio di ricerca di Ibm basato a Pechino ha chiuso i battenti. Si trattava di uno dei più importanti istituti dislocati dalla compagnia statunitense a livello globale. Negli ultimi sei anni anche Yahoo, Amazon e Oracle hanno preso la stessa decisione di Ibm. Significa che la Repubblica Popolare sta lentamente perdendo accesso all’expertise tecnologica americana.

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