Per stimolare la crescita occorrono incentivi all'innovazione, non i dazi

Il sussidio ottimale all'innovazione è inversamente proporzionale all'apertura ai mercati internazionali. Basse barriere commerciali generano un alto livello di concorrenza che spinge le imprese a innovare, rendendo meno necessari gli interventi pubblici

Al Pil occorrono incentivi all'innovazione, non i dazi

In campagna elettorale, Donald Trump aveva dichiarato che avrebbe attuato una politica economica nazionalista, seguendo l’esempio di Ronald Reagan. In verità, l’ex attore di Hollywood varò dazi che non incisero granché sull’apertura dell’economia Usa. Inoltre, Reagan attuò anche politiche di apertura delle frontiere, compreso l’inizio delle trattative per il North American Free Trade Agreement (Nafta).

La chiave di volta nelle politiche reaganiane per rispondere alla concorrenza internazionale fu l’incentivo all’innovazione piuttosto che il protezionismo. Poco dopo l’introduzione dei sussidi fiscali alla spesa in R&S la quota di brevetti statunitensi tornò a salire. I sussidi riuscirono a promuovere la crescita del Pil americano nel breve e, soprattutto, nel lungo periodo.

Riducendo il costo della R&S, infatti, i sussidi stimolano l’attività innovativa, promuovendo l’incremento della competitività. I dazi, invece, generano benefici nel breve periodo (10-15 anni), in quanto proteggono le imprese dalla concorrenza estera aiutandole a mantenere quote del mercato interno. A lungo termine, però, si osservano perdite sostanziali nella crescita in quanto si riduce l’incentivo delle imprese a innovare. Inoltre, i benefici di breve periodo si ottengono solo nell’ipotesi che i partner commerciali non rispondano ai dazi.

Ecco allora che il sussidio ottimale all’innovazione è inversamente proporzionale all’apertura ai mercati internazionali. Basse barriere commerciali generano un alto livello di concorrenza che spinge le imprese a innovare, rendendo meno necessari gli interventi pubblici.

In una intervista del 1988 al New York Times, Vaughn Beals, amministratore delegato di Harley-Davidson dichiarò: “Per anni abbiamo provato a capire perché i giapponesi ci battessero sistematicamente. Prima pensavamo fosse la loro cultura. Poi credevamo fosse l’automazione, poi il dumping. Alla fine abbiamo capito che il problema eravamo noi, non loro!” La qualità delle moto Usa era più bassa di quella giapponese. Capito ciò, cominciarono a innovare e il successo non tardò ad arrivare.

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