Dopo il gas russo, l’Europa rischia la dipendenza dalla Cina

Da una dipendenza all’altra: il lupo (europeo) perde il pelo ma non il vizio

Dopo il gas russo, rischiamo la dipendenza dalla Cina

Affidarsi solo all’auto elettrica in Italia e in Europa vuol dire mettere a rischio milioni di posti di lavoro (nel breve periodo; nel lungo lo scenario potrebbe cambiare attraverso la creazione di nuove competenze, ndr) e alimentare una dipendenza dalla Cina, simile a quella con la Russia per il gas. A lanciare l’alert è Marco Bonometti, presidente del Gruppo Omr e membro del consiglio generale di Confindustria.

Puntare solo sull’auto elettrica - attacca Bonometti - è un suicidio. Può essere una delle varie soluzioni per ridurre le emissioni, ma nella situazione attuale non è sostenibile avere in Europa tutte auto elettriche: non c’è sufficiente energia, sia a livello di quantità che di qualità (l’energia pulita, ndr). In Italia non abbiamo energia sufficiente per far girare fabbriche e dipendiamo al 95% dal gas per produrre energia”.

Inoltre, secondo l’ex presidente di Confindustria Lombardia, per quanto riguarda l’auto elettrica, “mancano le materie prime per le batterie: litio e nichel. Ma anche se dovessero esserci in futuro, se prima dipendevamo dal gas russo, con l’auto elettrica dipenderemo da componenti che arrivano dall’Asia, in particolare Cina e Taiwan”. Meglio avrebbe fatto l’Europa ad “approntare una batteria tutta europea, magari alimentata dall’idrogeno”.

Dunque – aggiunge - “sì alla decarbonizzazione ma con neutralità tecnologica. L’Europa contribuisce solo per l’8% all’emissione di CO2 e di questo appena l’1% dipende dalle auto. Capiamo, invece, se nella transizione tecnologica l’auto elettrica venga considerata una delle componenti, assieme a motori endotermici alimentati con carburanti non fossili o biometano, idrogeno, carburanti e-Fuel o derivati da vegetali. Inoltre devono essere considerate tutte le emissioni di CO2 dal processo per produrre le vetture e fino alla fine vita della vettura, non solo l’attività di circolazione”.

Anche sull’occupazione, puntare solo sull’auto elettrica può essere controproducente spiega Bonometti: “Se apriamo a tutte le tecnologie alternative, avremo un incremento dell'occupazione; se invece ci basassimo solo sull’elettrico, perderemo in Europa milioni di posti lavoro”. In Italia le aziende dell’automobile “rappresentano il 7% del Pil, se si mette assieme tutto l’indotto. Le imprese coinvolte sono 6 mila per 300 mila addetti, con un gettito fiscale di 77 milioni all’anno”. Un intero settore che “rischia di essere messo in ginocchio”.

Premesso che l’opinione di Bonometti, sebbene sia autorevole, è inevitabilmente di parte, nel senso che il suo pensiero appare più influenzato dai bilanci aziendali che dal benessere della società nel suo complesso, resta il fatto che in questa interessante intervista l’imprenditore mette a fuoco alcuni elementi centrali.

Primo. Di per sé, puntare sulle auto elettriche non ha senso se a questo processo di transizione non affianchiamo un’adeguata politica economica intersettoriale (anche dal punto di vista occupazionale ed energetico).

Secondo. Il rischio di passare da una dipendenza a un'altra in realtà non è un rischio: è già un fatto concreto. Quando Bonometti sostiene che l’Ue avrebbe dovuto creare una propria batteria ha ragione.

Terzo. Il problema non è l’auto elettrica in quanto tale ma l’assenza di una politica economica (oltreché energetica ed ambientale) complessiva .

Quarto. Passare alle auto elettriche non cambia la situazione strutturale dal punto di vista ambientale. In un certo senso è come spostare il problema dalle città alle periferie. Intendiamoci, disintossicare i centri urbani è un’idea giusta e condivisibile, ma è una scelta che non risponde pienamente al grido di allarme che il Pianeta da tempo ci lancia. Per invertire la rotta davvero occorrerebbe incidere sui comportanti individuali e collettivi, e sui consumi (in senso quantitativo, riducendoli, e qualitativo). Ma qui il discorso si complica: quanti occidentali (che in termini pro-capite sono i maggiori inquinatori del Pianeta) sono disposti a ridurre i propri consumi e a modificare i comportamenti quotidiani? Pochi, forse pochissimi.

E, su questi ultimi due punti, non sarebbe probabilmente d’accordo neanche Bonometti: il suo pensiero fisso è la ‘crescita economica’. E non è esattamente un ‘pensiero stupendo’ (ri-parafrasando Patty Pravo), se non è reso coerente con le dinamiche globali complessive.

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