
Dopo aver toccato il picco nel 2014 con 60,8 milioni di residenti, la popolazione italiana ha iniziato a scendere: oggi siamo sotto i 59 milioni. Secondo le stime del Working Group on Ageing (WGA), entro il 2050 potremmo perdere quasi 10 milioni di abitanti. E, senza nuovi ingressi netti, nel 2100 potremmo scendere sotto i 30 milioni. La natalità continua a crollare (370mila nati nel 2024) e l’età media vola a 46,4 anni. Siamo dietro solo al Giappone per rapidità dell’invecchiamento.
Quanto ci servono gli immigrati?
Per mantenere la popolazione stabile a 59 milioni entro il 2050, servirebbero oltre 10 milioni di immigrati netti (13,5 milioni se si vuole anche preservare il peso della forza lavoro). Tradotto in flussi annuali: 490mila ingressi lordi entro il 2035 e 620mila entro il 2050, tenendo conto anche dei 140mila italiani che emigrano ogni anno.
Salvare il welfare: la priorità è il lavoro
Il cuore del problema non è solo numerico, ma economico. Se vogliamo evitare il collasso del sistema di welfare, dobbiamo mantenere alta la quota di popolazione attiva (20-67 anni), che oggi rappresenta il 62% ma potrebbe scendere sotto il 50%. Per compensare questa caduta servono 480mila immigrati l’anno fino al 2050, e una popolazione che cresca fino a 63,6 milioni nel 2045 prima di iniziare a calare.
Numeri (molto) più alti dei decreti flussi attuali
I decreti flussi del triennio 2023-2025 prevedono circa 150mila ingressi l’anno, ben lontani dalle 490mila unità necessarie. E intanto, negli ultimi 10 anni, oltre un milione di immigrati è arrivato in modo irregolare. Risultato? La popolazione straniera cresce lentamente, ma fuori da un controllo efficace.
Serve un piano strutturale e politiche coraggiose
Se l’Italia vuole evitare il declino economico e sociale legato al crollo demografico, deve affrontare il nodo dell’immigrazione con pragmatismo: aumento degli ingressi regolari, investimenti nell’integrazione e nella formazione, e riforme per rendere il lavoro più attrattivo. Il tempo, però, sta per scadere.