Dall’industrializzazione alla slowbalization: ecco cosa è accaduto negli ultimi 150 anni

L’apertura commerciale è aumentata a livello globale dopo la seconda guerra mondiale, ma è poi rallentata a seguito della crisi finanziaria globale.

Dall’industrializzazione alla slowbalization

Il libero flusso di idee, persone, beni, servizi e capitali attraverso i confini nazionali porta a una maggiore integrazione economica. Ma anche – come emerge dall’evidenza empirica - ad un aumento rilevante della disuguaglianza. In tale contesto, la globalizzazione ha visto alti e bassi nel corso dei decenni. E da circa 15 anni sembra aver rallentato la sua corsa. Tanto che in molti parlano di deglobalizzazione, regionalizzazione, ecc.

Allargando lo sguardo e guardando indietro di oltre un secolo e mezzo di dati, le fasi principali della globalizzazione sono chiaramente visibili utilizzando la metrica dell'apertura commerciale, la somma delle esportazioni e delle importazioni di tutte le economie rispetto al prodotto interno lordo globale.

Si possono così distinguere 5 differenti periodi caratterizzati da diverse configurazioni dei poteri economici e finanziari, e da regole e meccanismi diversi per i legami economici e finanziari tra i paesi.

1 L’era dell’industrializzazione è stata un periodo in cui il commercio globale, dominato da Argentina, Australia, Canada, Europa e Stati Uniti, è stato facilitato dal gold standard*. È stato in gran parte guidato dai progressi nei trasporti che hanno ridotti i costi commerciali e aumentato i volumi.

2 L’era tra le due guerre ha visto una drammatica inversione della globalizzazione a causa di conflitti internazionali e l’ascesa del protezionismo. Nonostante la spinta della Società delle Nazioni per la cooperazione multilaterale, il commercio è diventato regionalizzato tra le barriere commerciali e la rottura del gold standard in blocchi valutari.

3 L’era di Bretton Woods** ha visto gli Stati Uniti emergere come potenza economica dominante con il dollaro, poi ancorato all’oro, a sostegno di un sistema con altri tassi di cambio ancorati al biglietto verde. La ripresa del dopoguerra e la liberalizzazione del commercio hanno stimolato una rapida espansione in Europa, Giappone e nelle economie in via di sviluppo, e molti paesi hanno allentato i controlli sui capitali. Ma la politica fiscale e monetaria espansiva degli Stati Uniti guidata dalla spesa sociale e militare alla fine ha reso il sistema insostenibile. Gli Stati Uniti hanno posto fine alla convertibilità dollaro-oro all’inizio degli anni ‘70 e molti paesi sono passati a tassi di cambio fluttuanti.

4 L’era della liberalizzazione ha visto la graduale rimozione delle barriere commerciali in Cina e in altre grandi economie di mercato emergenti e una cooperazione economica internazionale senza precedenti, inclusa l’integrazione dell’ex blocco sovietico. La liberalizzazione ha rappresentato la maggior parte dell’aumento del commercio e l’Organizzazione mondiale del commercio, istituita nel 1995, è diventata un nuovo supervisore multilaterale degli accordi commerciali, dei negoziati e della risoluzione delle controversie. I flussi di capitali transfrontalieri sono aumentati, aumentando la complessità e l’interconnessione del sistema finanziario globale.

5 L’era della slowbalization che ha seguito la crisi finanziaria globale è stata caratterizzata da un prolungato rallentamento del ritmo della riforma commerciale e dall’indebolimento del sostegno politico al commercio aperto a causa delle crescenti tensioni geopolitiche.

* Sistema di monometallismo aureo, per cui la circolazione è composta di monete d’oro e di biglietti di banca convertibili in monete d’oro e viceversa, in un contesto nel quale vige libertà di coniazione e di fusione nonché di importazione e di esportazione del metallo. Un sistema del genere ha regolato le relazioni economiche internazionali dal 1870 alla Prima guerra mondiale. La dichiarazione di un prezzo fisso (la parità) di ciascuna valuta rispetto all’oro determinava, per quanto riguarda i rapporti interni, un legame di proporzionalità tra la quantità di moneta in circolazione e il totale d’oro posseduto dalla banca centrale, e, per quanto riguarda i rapporti esterni, un sistema di tassi di cambio praticamente fissi, in quanto le oscillazioni di essi erano contenute. Dopo la Prima guerra mondiale, molti paesi, a causa dell’eccessiva emissione di denaro per le spese belliche e della scarsità dell’oro, si trovarono in difficoltà nel garantire la diretta corrispondenza tra quantità d’oro detenuta e banconote in circolazione. Il gold standard fu di conseguenza abbandonato.

** Bretton Woods è una località del New Hampshire (Stati Uniti), dove nel luglio 1944 si tenne la conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, nella quale, alla presenza dei delegati di 44 nazioni, furono poste le basi del sistema monetario internazionale del dopoguerra e costituiti due nuovi organismi, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, successivamente entrata a far parte del gruppo della Banca Mondiale. Obiettivo della conferenza era ricostruire il sistema di scambi internazionali, distrutto dalla Seconda guerra mondiale e, prima ancora, dall’ondata protezionistica e dalle svalutazioni competitive avvenute durante la grande depressione. Alla fine del conflitto, gli Stati Uniti, prima potenza militare ed economica, erano anche il principale creditore della comunità internazionale e vantavano un attivo di bilancia dei pagamenti. Al contrario l’Europa, distrutta dalla guerra sia nei Paesi vincitori sia in quelli vinti, e appesantita dalla ricostruzione, era in cronico deficit esterno. Nella conferenza si confrontarono tra loro due visioni: la prima, sostenuta dal capo della delegazione britannica, l’economista J.M. Keynes, prevedeva la creazione di una stanza di compensazione internazionale e di una nuova moneta; la seconda, avanzata dal capo della delegazione Usa, H.D. White, sosteneva la creazione di un fondo di stabilizzazione alimentato da sottoscrizioni (quote) dei Paesi membri. L’accordo finale, molto vicino alla proposta statunitense, stabilì che il FMI raccogliesse sottoscrizioni in valute nazionali, prestabili ai Paesi in disavanzo entro stringenti limiti e condizioni. I cambi fra le valute erano fissi, così come il rapporto fra la valuta cardine, il dollaro, e l’oro (fissato nella parità prebellica di 35 dollari per oncia). I tassi di cambio erano modificabili solo in caso di squilibrio fondamentale della bilancia dei pagamenti. I Paesi in avanzo avevano la facoltà di convertire le riserve di dollari in oro presso gli Stati Uniti alla parità aurea prefissata. Solo pochi anni dopo, le mutate condizioni avrebbero messo in crisi il sistema, provocandone la caduta. Negli anni 1950 la bilancia dei pagamenti statunitense entrò in deficit e, negli anni 1960, il passivo subì un incremento a causa dell’espansione della spesa pubblica determinata dai programmi sociali dell’amministrazione Johnson e dalla guerra in Vietnam. La crescente offerta di dollari sui mercati internazionali, se da un lato favorì l’espansione economica mondiale, dall’altro erose la fiducia nell’adeguatezza delle riserve auree americane (paradosso di Triffin). Alla fine di quel decennio, l’emorragia di riserve auree divenne insostenibile per gli Stati Uniti, che decisero, il 15 agosto 1971, di sospendere la convertibilità del dollaro. Ebbe inizio, poco dopo, l’ancora attuale regime di fluttuazione generalizzata dei cambi.

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