L'Africa che si riversa nel Mediterraneo; Sud e Centro-America che premono su Stati Uniti e Canada. Il Sud del mondo si muove verso il Nord, alla ricerca di speranza o di semplice vita. E nessuna barriera può fermare questo movimento terrestre. Un fenomeno inarrestabile e in crescita inesorabile, se è vero, come certifica uno studio internazionale illuminante che vede tra gli autori Alberto Alesina e Armando Miano, che nell'ultimo quarto di secolo la quota di immigrati nei paesi avanzati è passata dal 7,2% del 1990 all'11,6%, a fronte di una media mondiale molto più bassa e di poco alterata nel periodo: dal 2,9 al 3,4%.
Ma ad aumentare, e in termini molto più che proporzionali, è la dinamica, “laterale” rispetto al fenomeno principale e cioè la percezione dell'immigrazione che si ha nei paesi avanzati. È come se il cittadino del Nord del mondo guardasse attraverso una lente distorcente. Negli Usa, a fronte di una percentuale di immigrati reale del 15% (fonte Onu), i nativi percepiscono il 38%, cioè 2,5 volte di più. Un rapporto già alto che in alcuni paesi europei sale ancora. In Italia, con una quota di immigrati del 10%, la percezione degli italiani è che ci sia un 27%, cioè 2,7 volte la realtà.
A contribuire maggiormente a questa “visione espansa” sono – secondo lo studio – le porzioni di popolazione più disagiate, con lavori precari e che, spesso votano a destra. Una fetta di occidentali sovrapponibile a quella che, negli Usa ha votato Trump, nel Regno Unito la Brexit e in Italia, Ungheria ed Austria i partiti diventati maggioranza. E ad alimentare una certa immigrato-fobia è anche la percezione distorta di secondo tipo: non quella primaria sul numero in assoluto dei nuovi arrivati, ma sul loro peso sociale. Per esempio gli Italiani – in modo non dissimile dal resto d'Europa - pensano che il 42% degli immigrati sia disoccupato e pesi sul welfare. Mentre la realtà è clamorosamente più bassa: solo il 15% dei residenti non-italiani non ha un lavoro.
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