Ecco perché Harley Davidson vuole delocalizzare. American Dream al tramonto?

L'icona dell'industria statunitese, che è sempre più dipendente dai mercati esteri, sta subendo i colpi della guerra commerciale da entrambi i fronti

Ecco perché Harley Davidson vuole delocalizzare. L'American Dream tramonta?

Le nuove tariffe statunitensi su acciaio e alluminio potrebbero aumentare i costi per le imprese Usa di 20 milioni di dollari solo quest'anno. E mentre altri paesi lanciano dazi ritorsivi, un’icona dell’industria statunitense, Harley-Davidson che produce moto utilizzando soprattutto quelle due materie prime, annuncia di voler delocalizzare. Un colpo basso per Trump che ha criticato la scelta.

Scelta dolorosa ma necessaria

Harley ha reso noto che le tariffe del 31% stabilite dal’Ue nel mese di giugno aumentano il costo medio delle sue moto di circa 2.200 dollari. Di qui, la decisione di spostare la produzione in Europa. La medicina è costosa – 100 milioni di dollari l’anno - ma la cura appare necessaria. Le vendite negli Stati Uniti si riducono e i clienti esteri diventano sempre più strategici per il marchio fondato 115 anni fa.

Prevale il mercato estero

I Boomers americani, desiderosi di quello status symbol vissuto come un ticket verso la libertà, stanno invecchiando e non hanno lasciato in eredità ai giovani lo stesso interesse. Lo scorso anno oltre il 39% delle vendite di Harley erano al di fuori degli Stati Uniti. Un’inversione a U rispetto, ad esempio, ad appena 14 anni fa (2004), quando i 4/5 delle moto erano vendute nel mercato domestico.

Previsioni sbagliate?

I mercati internazionali offrono grandi opportunità, afferma Michelle Kumbier, chief operating officer di Harley. Ma offrono anche profitti inferiori, in parte perché gli acquirenti in Europa e in Asia tendono a optare per moto più piccole e con meno optionals. Non è una buona prospettiva in un momento in cui si prevede che i margini operativi possano scivolare sotto il 10%. Ma Harley è abituata a delocalizzare, specialmente nei mercati ad alta crescita, come dimostrano gli impianti industriali in parte già operativi in India e Thailandia, dove i dazi sono pari al 100%, e ai quali occorre aggiungere lo stabilimento attivo in Brasile. Partito per difendere la produzione nazionale e l’America First, Trump ora si ritrova a dover fronteggiare imprese americane che vedono i loro costi salire e i mercati restringersi. Aveva previsto anche questo il presidente degli Stati Uniti?

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