Erdogan, il mediatore imperiale: così il ‘Sultano’ domina i dossier caldi della geopolitica globale

Dalla guerra in Ucraina alla questione curda, dalla Libia alla Palestina, passando per i Balcani: con l’opposizione interna in crisi, il presidente turco si propone come l’unico leader capace di sedersi a tutti i tavoli. Ma dietro la diplomazia si nasconde un disegno di potere personale.

Erdogan, il mediatore imperiale: così il ‘Sultano’ domina i dossier caldi

Recep Tayyip Erdoğan non è mai stato così forte. A livello interno, ha neutralizzato, con la forza, opposizione politica e voci critiche; a livello internazionale, è diventato un interlocutore imprescindibile in tutti i principali scenari di crisi, da Kiev a Gaza. In un mondo multipolare e instabile, il presidente turco sfrutta abilmente il caos per consolidare la propria posizione come mediatore globale.

Tra Mosca e Kiev, l’unico ponte possibile

Mentre l’Occidente è diviso e la Cina resta defilata, Erdogan è l’unico leader della Nato in contatto regolare sia con Zelensky sia con Putin. Il suo ruolo nei negoziati sul grano del Mar Nero ha rafforzato la percezione di Ankara come ago della bilancia nella guerra in Ucraina. Non per spirito umanitario, ma per interesse strategico: garantire sicurezza alimentare al Sud globale e rafforzare la sua influenza sul Mar Nero.

Il nuovo “grande gioco” nei Balcani

La Turchia si è ritagliata un posto anche nei fragili equilibri balcanici. Grazie a legami storici e culturali, Erdoğan ha aumentato la propria presenza economica e politica in Bosnia, Serbia e Kosovo, presentandosi come alternativa all’Unione Europea e contrappeso alla crescente penetrazione russa e cinese nella regione.

In Medio Oriente, l’ambizione passa dalla Palestina

In un momento in cui molti Paesi arabi normalizzano i rapporti con Israele, Erdogan si riposiziona come difensore della causa palestinese. Non tanto per una svolta ideologica, quanto per rafforzare i legami con le popolazioni arabe e musulmane. Il recente riavvicinamento con l’Egitto di al-Sisi e l’attivismo sulla crisi di Gaza mostrano un leader che sa muoversi tra diplomazia e propaganda.

Nordafrica e Sahel: la nuova frontiera turca

La presenza militare turca in Libia e i crescenti investimenti nel Sahel testimoniano l’ambizione di Erdoğan di estendere l’influenza turca a sud del Mediterraneo. Qui la Turchia si muove con logiche neo-ottomane: una combinazione di soft power, militari e contratti economici, in concorrenza con Francia, Russia e Cina.

Un sultano moderno con ambizioni imperiali

A settant’anni e dopo due decenni al potere, Erdogan non si limita a governare la Turchia (con il pugno duro; non a caso la Turchia è il paese con più giornalisti detenuti al mondo): punta a essere il punto di snodo di un nuovo ordine internazionale. In un mondo disordinato, le cancellerie mondiali – da Washington a Bruxelles, da Mosca a Teheran – sono costrette a passare per Ankara. Il “sultano” non ha più veri avversari interni, ma una rete di dossier che lo rendono necessario. La domanda è: quanto durerà questo equilibrio?

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