Ritorsione turca contro le aziende italiane

Gli interessi dell’Italia in Turchia? Un business da 15 miliardi l’anno. Il Covid ha frenato gli scambi, che restano comunque importanti, soprattutto nei settori dei macchinari industriali, degli autoveicoli e della chimica

Ritorsione turca contro le aziende italiane

Ad Ankara le parole di Mario Draghi, che ha definito “un dittatore” il presidente Erdogan, continuano a provocare dichiarazioni infuocate di ministri e leader politici. Il governo turco pretende scuse ufficiali e non sembra disposto ad accontentarsi di un chiarimento attraverso i canali diplomatici.

E poiché da Roma non arrivano risposte, le autorità turche si muovono sul fronte dell’economia: salta la vendita di elicotteri Leonardo per la scuola di volo militare. Avvertimenti sono stati lanciati anche verso altre aziende, tra le quali Ansaldo Energia.

Ma quanto pesano nel complesso i rapporti economici tra Italia e Turchia? Un interscambio commerciale che, prima del Covid, sfiorava i 18 miliardi di euro di valore, secondo le elaborazioni dell’Ice su base Istat, e che anche nel 2020, nonostante la frenata determinata dalla pandemia, ha avuto comunque un valore di oltre 15 miliardi. Tanto valgono, per l’industria italiana, i rapporti con Ankara. La Turchia è infatti il 12° Paese nella graduatoria mondiale dell’interscambio con l’Italia ed è tra i dieci Paesi in cui si prevede la crescita maggiore delle esportazioni nel prossimo biennio.

In territorio turco operano, direttamente o attraverso società controllate, alcuni tra i principali gruppi della nostra industria, tra cui Salini-WeBuild, Astaldi, Barilla, Ferrero, Benetton, Ermenegildo Zegna, Luxottica, Piaggio, Iveco, Stellantis, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Fiat merita invece un discorso a parte. La presenza del Lingotto in Turchia è di lunghissima data: supera i cinquant’anni. Attualmente Stellantis ha un solo stabilimento nel Paese. Si trova in Anatolia, a Bursa, e ha una capacità produttiva che si aggira sul mezzo milione di veicoli l’anno.

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