Nel decennio 2010-20 la componente ispanica della popolazione statunitense è aumentata del 23%: oltre il triplo rispetto al 7% di aumento medio nazionale. Oggi conta oltre 62 milioni di persone, pari al 20% della popolazione totale. Uno statunitense su cinque. Erano 9,6 milioni nel 1970 (5%), 14,5 milioni nel 1980, 22,4 milioni nel 1990, 35,3 milioni al volgere del millennio e 50,5 milioni nel 2010. New York, California, Florida e Texas restano i fulcri della presenza ispanica.
La progressione è dunque costante, malgrado le politiche migratorie ostiche degli ultimi anni e la crisi economico-finanziaria del 2008-10. Segno che l’economia statunitense necessita di manodopera economica e poco specializzata, abbondante nella componente messicana e più recentemente centroamericana che domina l’immigrazione ispanica. I settori più coinvolti sono l’edilizia e l’agricoltura. Ma anche la logistica dell’e-commerce, fucina del nuovo sottoproletariato americano (e non solo).
Occorre inoltre rilevare che, specie dal 2000, i nati negli Usa da genitori ispanici superano costantemente i nuovi arrivi: 9,6 milioni contro 6,5 negli anni Duemila; 9,3 milioni a fronte dei 3,5 negli anni Dieci. L’immigrazione, pur sempre massiccia, rallenta; mentre la natalità interna resta elevata. Il sogno americano tradisce la classe media, ma resta attraente per chi fugge miseria e insicurezza. Ed è (ancora) culturalmente più predisposto a fare figli.
