1/3 dell’economia globale in recessione nel 2023. E l’Fmi boccia il price cap sui beni energetici

Il Fondo monetario internazionale rivede al ribasso per la terza volta la stima sul Pil 2022. Pandemia, inflazione, tassi e guerra bruciano 4mila miliardi di dollari di crescita potenziale, ovvero il Pil della Germania. L’Fmi stronca il price cap: “Sappiamo che il controllo dei prezzi per un lungo periodo di tempo non è conveniente e neppure efficace”.

1/3 dell’economia globale in recessione. E l’Fmi boccia il price cap

Il Fondo monetario internazionale si prepara a tagliare ancora le stime di crescita dell’economia globale per il 2023. Lo annuncia la direttrice generale Kristalina Georgieva che precisa: “Abbiamo già abbassato tre volte le nostre proiezioni, portandole a solo il 3,2% per il 2022
e al 2,9% per il 2023. E nel World Economic Outlook dei prossimi giorni, ci sarà un nuovo taglio per il prossimo anno”.

“I rischi di recessione stanno aumentando: Paesi che rappresentano circa un terzo dell’economia mondiale subiranno almeno due trimestri consecutivi di contrazione tra quest’anno e il prossimo”. Non è tutto qui. “Anche quando ci sarà crescita, sembrerà una recessione a causa della contrazione dei redditi reali e dell’aumento dei prezzi”, sottolinea Georgieva.

Strascichi della pandemia, alta inflazione, aumento dei tassi, guerra in Ucraina e disastri climatici bruciano “quasi 4mila miliardi di dollari di ricchezza globale, pari al Pil della Germania”, afferma Georgieva. È la misura della crescita potenziale che si sarebbe potuto ottenere entro il 2026 e che invece non potrà essere conseguita.

“Tutte le maggiori economie del mondo stanno rallentando”, evidenzia Georgieva. L’Eurozona è fortemente condizionata dalla riduzione delle forniture di gas dalla Russia, la Cina è penalizzata dalla pandemia e dalla profonda flessione nel mercato immobiliare. Negli Stati Uniti, l’inflazione riduce il reddito disponibile e i consumi, mentre il rialzo dei tassi di interesse frena gli investimenti.

La frenata delle locomotive mondiali colpisce i Paesi emergenti e in via di sviluppo, penalizzati da rafforzamento del dollaro, alti costi di finanziamento e deflussi di capitale. Più di un quarto di questi Paesi è in default o è in situazione di stress sui bond emessi. E oltre il 60% dei Paesi a basso reddito attraversa una crisi del debito o è ad alto rischio.

Ma - secondo la direttrice dell’Fmi - non ci sono alternative. L’unica possibilità è proseguire con una politica monetaria restrittiva. Georgieva sottolinea: “Non stringere abbastanza farebbe sì che l’inflazione si radichi e questo richiederebbe in futuro tassi di interesse molto più elevati, causando enormi danni sulla crescita e alle persone”.

C’è un’altra priorità secondo il Fondo: mettere in atto politiche fiscali responsabili, che proteggano i più vulnerabili, “senza aggiungere carburante all’inflazione”. In altre parole - sottolinea Georgieva - quando le Banche centrali adottano una politica monetaria che raffredda l’economia, i Governi non possono averne una che la surriscalda.

Gli interventi di sostegno devono allora essere temporanei e concentrati sui ceti più in difficoltà. E sui tetti al prezzo dell’energia, Gerogieva insiste: “Sappiamo che il controllo dei prezzi per un lungo periodo di tempo non è conveniente e neppure efficace”.

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