C’entra qualcosa l’esplosione del debito pubblico nel Regno Unito con le dimissioni di Boris Johnson?

Un premier ‘unfit to govern’

C’entra qualcosa il del debito pubblico con le dimissioni di Johnson?

Era in programma nei prossimi giorni un annuncio congiunto del premier Boris Johnson e del cancelliere dello scacchiere (ovvero il ministro delle Finanze) Rishi Sunak. Nei piani di Downing street i due avrebbero dovuto delineare insieme la strategia economica post-pandemia e soprattutto post-Brexit.

Ma, nel frattempo, il terremoto ha fracassato il governo. D’altronde Boris Johnson è così: un trascinatore in campagna elettorale, populista nei modi e nelle promesse; disastroso invece nella gestione e nell’esercizio di governo.

Dietro la perdita di credibilità per le sue ripetute bugie alla camera dei Comuni c’è dunque uno scontro di fondo sulle prospettive economiche del paese.

Uomo di destra e liberista estremo, Johnson non ha esitato però a dare il via a massicci aiuti pubblici. Poi è arrivata la guerra in Ucraina, che ha visto il governo britannico in prima fila nella fornitura di armi e negli aiuti economici e finanziari a Kiev. Così il debito pubblico britannico è esploso, passando dal 75/77% del Pil pre-Brexit a quasi il 100/100 in primavera, livello mai raggiunto dopo gli anni ‘60.

Mentre Sunak e l’ala più ortodossa dei conservatori puntavano a cominciare un rientro graduale, Johnson continuava a promettere nuovi investimenti per le aree depresse del Paese, taglio di tasse e aumento delle pensioni.

Un libro dei sogni in una congiuntura economica di crisi generale, a cominciare dal costo dell’energia che ha fatto schizzare l’inflazione in Inghilterra all’11% tendenziale, previsto entro l’anno.

Molti nel partito conservatore guardavano inorriditi alle roboanti dichiarazioni del Premier, sempre più avulse da un contesto economico domestico ed internazionale che avrebbe invece consigliato di parlare apertamente ai britannici, preparando i cittadini ad un periodo di sacrifici.

Così non è un caso che la rivolta finale contro Johnson sia nata dalle dimissioni del suo ministro economico. C’è davvero molto di più dietro questa crisi che non i brindisi a Downing street durante i lockdown.

Continua insomma lo stupefacente periodo di instabilità della politica britannica. Un tempo sinonimo di governi stabili e duraturi, il Regno Unito dopo il voto del 2015 ha visto il referendum sulla Brexit e elezioni politiche anticipate ogni due anni, nel 2017 e nel 2019. Adesso si escludono nuove consultazioni ma probabilmente la durata della legislatura, che dovrebbe teoricamente raggiungere il 2024, sarà invece più breve, con possibili elezioni l’anno prossimo.

In ogni caso, dopo il ciclone Johnson, i conservatori sceglieranno probabilmente una guida tradizionale e solida. Chiuso un capitolo, ora il dopo Johnson è tutto da scrivere.

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