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La Commissione europea apre ufficialmente la strada a Ucraina e Moldova per l’ingresso nell’Unione Europea, fissando come data-obiettivo la fine del 2028 per la conclusione dei negoziati di adesione.
Un risultato straordinario per due Paesi che, nonostante la guerra e le tensioni geopolitiche, hanno completato con successo il processo di screening e mostrato progressi significativi nelle riforme strutturali.
L’Ucraina non si ferma, anche sotto le bombe
“Nonostante l'incessante guerra di aggressione della Russia, l’Ucraina rimane fortemente impegnata nel suo percorso europeo” — si legge nella nota della Commissione.
Kyiv ha già adottato tabelle di marcia su Stato di diritto, pubblica amministrazione e istituzioni democratiche, oltre a un piano d’azione per le minoranze nazionali, tutti valutati positivamente da Bruxelles.
L’obiettivo del governo ucraino è chiaro: chiudere i negoziati entro il 2028, con il sostegno pieno della Commissione, che tuttavia sollecita un’accelerazione delle riforme, in particolare sui temi della giustizia e della trasparenza.
Moldova, la piccola che guarda all’Europa
Stesso entusiasmo e stessa scadenza per la Moldova, che ha completato il processo di screening e consolidato la cooperazione con l’UE nel vertice di luglio 2025.
Il Paese ha avviato un profondo percorso di riforme istituzionali e democratiche, pur dovendo fronteggiare “continue minacce ibride e tentativi di destabilizzazione”.
Anche in questo caso, Bruxelles conferma la volontà di sostenere l’obiettivo del 2028, ma invita Chişinău a mantenere lo slancio e il consenso politico sul percorso europeo.
Montenegro e Albania più vicini all’ingresso
Prima di Ucraina e Moldova, potrebbero completare i negoziati Montenegro (2026) e Albania (2027).
Resta invece più incerto il percorso di altri candidati storici come Serbia, Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Turchia, dove le riforme democratiche restano incomplete.
Georgia, un candidato “solo di nome”
Particolarmente severa la valutazione nei confronti della Georgia, dove la Commissione denuncia “un grave regresso democratico” e “un’erosione dello Stato di diritto”.
Le restrizioni a libertà fondamentali e diritti civili spingono Bruxelles a definire il Paese “un candidato solo di nome”, chiedendo al governo georgiano di invertire immediatamente la rotta.


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