L’ombrello nucleare americano non basta più. Il Giappone accelera la corsa al riarmo

Il premier Kishida teme gli effetti legati all’invasione russa dell’Ucraina. La Cina potrebbe sentirsi autorizzata a fare lo stesso sulle isole contese e su Taiwan

L’ombrello nucleare Usa non basta più. Tokyo accelera la corsa al riarmo

“Quello che sta succedendo in Ucraina, domani potrebbe accadere nell’Asia orientale”: il premier giapponese Fumio Kishida ha più volte ripetuto questa frase da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Lo ha fatto anche allo Shagri-La Dialogue, davanti alle delegazioni di 42 Paesi, riuniti a Singapore nel Forum sulla sicurezza nella regione.

Dietro alla dichiarazione del premier c’è una profonda revisione della dottrina di difesa del Giappone, sebbene Kishida non sia un falco. Al contrario, si presenta come impegnato nel mantenimento della pace e nel disarmo nucleare: la sua base elettorale, del resto, è Hiroshima. Tuttavia, il premier nipponico non ha esitato a seguire l’Occidente nella condanna dell’invasione dell’Ucraina e nelle sanzioni contro Mosca.

Tokyo guarda al conflitto Mosca-Kiev temendo eventuali riflessi geopolitici per l’Asia: se la Russia non sarà fermata, Pechino potrebbe far esplodere le tensioni sulle isole contese con il Giappone e magari portare a un attacco contro Taiwan, che dista appena 110 chilometri dall’isola nipponica di Yonaguni.

Così, tra gli effetti diretti e indiretti dell’invasione dell’Ucraina, c’è anche l’accelerazione di una svolta storica in Giappone, quella che lo spinge ad allentare alcuni dei vincoli auto-imposti e a ripensare il pacifismo che lo caratterizza dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Il punto di partenza è la spesa militare. Il Partito liberaldemocratico (Ldp) di Kishida punta a raddoppiare il budget della difesa, portandolo al 2% del Pil, il valore raccomandato dalla Nato. Fino al 2021, Tokyo ha sempre osservato un tetto dell’1%. L’anno scorso, però, la spesa è aumentata al tasso più alto dal 1972, arrivando all’1,24% del Pil, con stanziamenti per quasi 60 miliardi.

In valore assoluto, il budget per la difesa giapponese è ancora poco più di un quinto di quello cinese e lontano dagli 800 miliardi degli Usa. Il Giappone ha comunque il terzo Pil del mondo e se ne spendesse il 2% per la difesa, potrebbe nel tempo diventare una delle maggiori potenze militari del pianeta.

Kishida, in carica da soli otto mesi, sta spingendo il Giappone verso una nuova dottrina di politica estera, improntata sul ‘realismo’, piuttosto che sull’idealismo pacifista: vede cioè nell’equilibrio di forza tra le potenze, anziché nel diritto e nelle organizzazioni internazionali, il fattore che determina i rapporti tra gli Stati. L’invasione russa ha dato nuova linfa a questa scuola di pensiero, che di fatto teorizza la corsa agli armamenti, dato che considera la deterrenza la principale forma di difesa.

La trasformazione non è tuttavia semplice. Per cominciare c’è da vincere la resistenza del partner di coalizione dell’Ldp, il partito d’ispirazione buddhista Komeito. Il pacifismo del Giappone, inoltre, è scolpito nella Costituzione, redatta dalle forze di occupazione Usa dopo la Seconda guerra mondiale.

La Carta ripudia la guerra e vieta l’uso della forza nelle controversie internazionali. Tokyo ha le sue Forze armate, ma il loro ruolo è limitato alla difesa del Paese. Una situazione che sembra ora destinata a cambiare.

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