L’esistenza degli Stati sovrani è sempre più minacciata dallo strapotere delle multinazionali

Mentre i paesi cercano di abbandonare le fonti fossili per passare alle rinnovabili, le grandi aziende usano tribunali e trattati speciali per arginare leggi ambientali e ottenere risarcimenti milionari.

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Intendiamoci, sebbene il loro potere economico sia diventato troppo grande per poter esser gestito con facilità dai governi nazionali, le multinazionali non rappresentano il male assoluto: è da lì che infatti proviene buona parte dell’innovazione prodotta a livello globale.
L’esistenza degli Stati è minacciata dallo strapotere delle multinazionali

210 milioni di euro: è il conto inflitto da un tribunale internazionale l’estate dello scorso anno all’Italia che dovrà pagare alla britannica Rockhopper per aver bloccato a fini ambientali l’estrazione di petrolio nell’Adriatico, al largo della costa dei Trabocchi (Chieti), dove sarebbe dovuta sorgere una piattaforma estrattiva.

A qualcuno è andata peggio. Il Pakistan, ad esempio, nel 2019 è stato condannato a pagare quasi 6 miliardi di dollari alla società australiana Tethyan Copper Company per i mancati profitti futuri derivati dalla decisione del Paese asiatico di sospendere le esplorazioni estrattive (sempre per motivi ambientali).

Non sono i due unici casi. Mentre molti Stati tentano di mettere in campo soluzioni alternative alle energie fossili è cominciata un’altra battaglia. Un conflitto che ha luogo in alcune aule giudiziarie speciali dove si scontrano multinazionali e nazioni: una situazione ben descritta dal caso dell’oleodotto Keystone XL. 

Nel 2015, dopo aver dato il via alle fasi iniziali del progetto, l’amministrazione guidata da Barack Obama ha fatto marcia indietro. Ma la società aggiudicatrice dell’oleodotto, TransCanada, ha intentato causa contro il governo statunitense per oltre 18 mld, di cui 3 per coprire gli investimenti già realizzati e 15 per compensare i profitti mancanti. Poi, nel 2017, l’amministrazione di Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo con cui si da un nuovo via libera a TransCanada che, a quel punto, ha ritirato la causa presentata in base a un Isds.

Ma cosa sono gli Isds? Partiamo dal principio. Secondo le Nazioni Unite, nel mondo esistono 3.253 accordi internazionali di investimento, di cui 2.579 in vigore. Questi si dividono in Bit, trattati di investimento bilaterali, e Tips, trattati con disposizioni sugli investimenti.

Dato che questi trattati spesso riguardano relazioni commerciali tra imprese private e Stati, al loro interno sono contenuti accordi internazionali per la protezione degli investimenti (Ipa) che consentono procedure extragiudiziali per risolvere controversie tra investitore e Stato (Isds).

Il problema è più serio di quanto possa forse sembrare. La Nuova Zelanda ha recentemente dichiarato di non voler aderire alla Beyond Gas Alliance (un consorzio di governi impegnati per eliminare i combustibili fossili) per il timore di scontrarsi con gli accordi tra investitori e Stati. Un atteggiamento preventivo che evidenzia quanto lo strapotere delle multinazionali stia di fatto sempre più soverchiando il concetto di sovranità degli Stati.

Negli ultimi decenni il numero di Ipa è aumentato, così come il numero di cause contro gli Stati (Isds) e gli importi richiesti. Secondo il Parlamento europeo, nel periodo 2000-2021 sono state avviate 1.146 controversie in tutto il mondo, di cui 267 hanno coinvolto stati membri dell’Ue.

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