Delocalizzazioni, l’Italia segue il ‘modello francese’

Il testo messo a punto dalla viceministra del Mise. Multe fino al 2% del fatturato e obbligo di ammortizzatori

Delocalizzazioni, l’Italia segue il ‘modello francese’

Cercare di fermare le delocalizzazioni al tempo del capitalismo selvaggio non è facile. E gli esempi non mancano: Bekaert a Figline Valdarno (320 operai di cui solo 110 ricollocati con la multinazionale belga che se n’è andata in Romania), Whirlpool a Napoli (500 operai ora scesi a 340), Gianetti ruote di Ceriano Laghetto (con i 152 operai ancora in presidio) e Gkn di Campi Bisenzio con i suoi 422 operai. E gli ultimi casi evidenziano una novità amara che si somma alla perdita del posto di lavoro: la volontà delle multinazionali di andarsene senza neanche richiedere gli ammortizzatori sociali per i dipendenti.

Ora ci prova il governo Draghi con l’inedita coppia Andrea Orlando e Alessandra Todde. La viceministra Mise del M5s ha messo a punto un testo che diventerebbe decreto a settembre.

Proprio Todde lo scorso anno ha ideato il Fondo di Salvaguardia, che consiste nella possibilità per le aziende in crisi di ricevere un aiuto pubblico fino a 10 milioni tramite Invitalia. A patto però di non delocalizzare per cinque anni. Ma il vero problema sono le delocalizzazioni verso altri paesi dell’Ue contro le quali lo Stato non può fare niente, pena l’intervento della Commissione europea per lesione della concorrenza.

L’esempio che il nuovo intervento del governo si pone di seguire è quello francese della legge Florange del 2014 (dal nome della città in cui Mittal chiuse uno stabilimento), ma in versione più radicale: se in Francia le norme antidelocalizzazioni si applicano alle aziende sopra i 1.000 dipendenti, in Italia si punta a utilizzarla da 50-100 dipendenti in su.

Ecco i punti nodali: se le imprese nei precedenti cinque anni hanno preso soldi pubblici dovranno restituirli con gli interessi e se violeranno la nuova procedura dovranno anche pagare una multa salata (fino al 2% del fatturato). Inoltre, obbligare le imprese all’utilizzo forzoso degli ammortizzatori nel caso in cui non rispettino la procedura e alla comunicazione di ogni scelta in maniera preventiva alle istituzioni (almeno sei mesi prima). Tra le opzioni, quella di convocare un tavolo istituzionale e di redigere un piano di reindustrializzazione che indichi le potenzialità del sito ed eventuali riqualificazioni.

Sarà nominato un advisor al quale toccherà esplorare se esistono soluzioni alternative e nuovi investitori interessati. In teoria è quanto già accade con Invitalia da 10 anni, che però non è riuscita a reindustrializzare quasi nulla.

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