
L’apparente miracolo economico poggia su un dato tanto semplice quanto sorprendente: negli ultimi anni la quota di utili generata dalla vendita di sigarette negli Stati Uniti è passata dal 50% al 60% del fatturato. Le aziende del settore dovrebbero chiudere il 2025 con 22 miliardi di dollari di utili operativi solo sul mercato statunitense. Un risultato che stride con il declino strutturale dell’abitudine al fumo: negli ultimi dieci anni, negli Usa, i fumatori sono diminuiti di 20 milioni e le sigarette vendute si sono ridotte di un terzo.
Il segreto? L’elasticità del prezzo non è più un problema
La spiegazione chiave è un concetto intuitivo: l’elasticità (in altre parole, la sensibilità) della domanda al prezzo. Quando i fumatori erano molti, aumentare i prezzi era rischioso: il consumatore medio era sensibile alle oscillazioni del costo del pacchetto. Oggi, invece, è rimasta soprattutto una platea di fumatori accaniti, molto meno incline a cambiare abitudini anche di fronte a rincari significativi. Risultato: i produttori hanno potuto alzare i prezzi senza perdere clienti.
Prezzi alle stelle: molto oltre l’inflazione
Un confronto basta a raccontare l’evoluzione. Nel 2017 un pacchetto di Marlboro negli Stati Uniti aumentò del 2,9%, poco sopra l’inflazione dell’epoca (2,1%). Nell’ultimo anno, invece, mentre l’inflazione si è fermata al 3%, il prezzo delle Marlboro è balzato di oltre il 7%. Un differenziale enorme, che si è tradotto in margini di profitto stellari e nella performance borsistica che oggi fa discutere.
Un settore in declino… che però non smette di rendere
In sintesi: l’industria delle sigarette è strutturalmente destinata a restringersi, ma nel breve periodo riesce ancora a macinare dividendi e utili come pochi altri comparti. Un paradosso che affascina gli economisti e preoccupa chi si occupa di salute pubblica.


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