L’Italia torna in miniera (30 anni dopo): caccia a litio e terre rare. È un miraggio tricolore?

Con un nuovo piano da 3,5 milioni, il governo riapre il capitolo miniere. Si cercano metalli strategici per la transizione digitale e green. Ma tra ritardi strutturali, mancanza di filiera e cervelli in fuga, rischiamo di fare la mappa... per regalarla a Pechino

Si torna in miniera (30 anni dopo): caccia a litio e terre rare

Litio, grafite, rame, antimonio, terre rare: il mondo corre per accaparrarsi le materie prime su cui si fondano tecnologie, batterie, intelligenza artificiale e transizione energetica. L’Italia – dopo 30 anni di silenzio minerario – prova a rientrare in partita con il Programma nazionale di esplorazione mineraria generale (Pne), appena approvato dal Comitato interministeriale per la Transizione ecologica.

Un ritorno sotto terra da 3,5 milioni

La prima fase del progetto prevede un investimento di 3,5 milioni di euro, con 14 progetti di ricerca distribuiti sul territorio, coordinati dal Servizio geologico d’Italia (Ispra). Coinvolte 15 unità operative e 400 specialisti. Si parte da settembre in 11 regioni, con tecnologie all’avanguardia: dai raggi cosmici per la radiografia muonica all’intelligenza artificiale. Obiettivo? Popolare il nuovo database minerario nazionale ‘Gemma’.

Mappa del tesoro o miraggio tricolore?

Dalla fluorite del Nord-Est al litio dell’Italia centrale, fino alla grafite del Sud: la mappatura è ambiziosa. Ma gli ostacoli non mancano. Secondo l’analista Maurizio Mazziero, autore de La mappa del tesoro, ci sono tre grandi limiti strutturali: poche risorse realmente sfruttabili, assenza di una filiera industriale per la raffinazione e carenza cronica di fondi pubblici.

La filiera che non c’è

In Italia non esistono più impianti per trattare i minerali critici. Anche se trovassimo litio o antimonio, saremmo costretti a spedirli in Cina per la lavorazione, per poi riacquistarli trasformati. Così l’autonomia strategica resta un sogno. E con un finanziamento attuale limitato al solo primo anno, il futuro del progetto resta appeso a una valutazione annuale e a nuove risorse tutte da trovare.

Tempi lunghi, burocrazia corta

Anche in caso di successo, i tempi sono proibitivi: servono dai 12 ai 16 anni per passare dal rilevamento alla produzione. Intanto, anche le imprese private rallentano: la australiana Altamin, che ha già investito 20 milioni in Lombardia, Lazio e Piemonte, è ferma ai box per incertezze politiche e normative.

Professionisti cercasi (all’estero)

Il settore minerario italiano è a corto di competenze: solo il Politecnico di Torino offre un corso specifico in ingegneria mineraria, con appena 15 studenti, di cui il 60% stranieri. La maggior parte torna nel proprio Paese dopo la laurea. Per invertire la rotta, Ispra ha attivato corsi e una Summer School, ma servono almeno 10 anni e forti investimenti per ricostruire un ecosistema minerario sostenibile.

Intanto la Cina scava (ovunque)

Mentre l’Italia torna a esplorare, la Cina domina. Da oltre 25 anni ha investito sull’intera filiera delle materie prime critiche: dalla raccolta alla raffinazione. Oggi controlla la lavorazione della maggior parte dei minerali high-tech globali, compresi litio, cobalto e terre rare. Solo nel 2023, Pechino ha chiuso dieci acquisizioni minerarie all’estero superiori ai 100 milioni di dollari. ecco perché, se l’Italia non farà sistema, rischia di identificare i giacimenti… per lasciarli scavare ad altri.

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