Iraq, le compagnie petrolifere cinesi sostituiscono quelle occidentali in fuga

La britannica BP e la russa LUKoil stanno valutando l’idea di lasciare l’Iraq, sulla scia di Exxon Mobil, Occidental Petroleum e Shell, già ritiratesi. Tuttavia, accanto a un progressivo abbandono delle aziende occidentali, vi sono compagnie cinesi disposte ad acquistare le loro azioni. E le aziende di Pechino sembrano avere standard meno rigidi rispetto a quelle occidentali. Ecco perché alcune società occidentali stabiliscono filiali in Cina e operano in Iraq sotto l’egida di queste aziende.

Le compagnie petrolifere cinesi sostituiscono quelle occidentali in fuga

La perdurante minaccia terroristica ha spinto diverse compagnie petrolifere occidentali a riconsiderare il proprio ruolo in Iraq. Ciò ha incoraggiato la Cina a cogliere l’occasione per inserirsi nel settore petrolifero del paese. Sono diverse le società straniere che hanno iniziato ad abbandonare le regioni centrali e meridionali dell’Iraq, non solo a causa di attacchi terroristici contro le proprie strutture, ma anche a seguito di estorsioni da parte di tribù, milizie e funzionari burocratici delle istituzioni statali. Al contempo, il Paese mediorientale, con la diminuzione della domanda di risorse petrolifere a livello internazionale, ha interrotto i piani volti a favorire investimenti e sviluppo nei giacimenti petroliferi, nonostante l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC+), di cui l’Iraq è membro, e i suoi alleati abbiano concordato, lo scorso 18 luglio, di aumentare la produzione di petrolio di 400.000 barili al giorno, a partire dal primo agosto.

Come affermato dal ministro del Petrolio, Ihsan Abdul Jabbar, il 4 luglio, la britannica BP e la russa LUKoil stanno valutando l’idea di lasciare l’Iraq, sulla scia di Exxon Mobil, Occidental Petroleum e Shell, già ritiratesi dai giacimenti petroliferi della regione meridionale di Bassora. Per Jabbar, tali scelte sono motivate dal deterioramento delle condizioni di sicurezza e dell’ambiente di investimento. Dichiarazioni simili sono giunte anche da un funzionario del Ministero del Petrolio, Ihsan al-Attar, il quale ha parlato di un ambiente “ostile”, mentre ha affermato che sovente le compagnie petrolifere sono considerate come “colonialiste” dalla popolazione locale, e la sicurezza dei lavoratori stranieri viene spesso minacciata. A tal proposito, le installazioni petrolifere irachene sono nel mirino di manifestanti locali sempre più in cerca di lavoro, in un momento in cui il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 27%. Motivo per cui, diversi dipendenti stranieri si rifiutano di recarsi in Iraq, costringendo Baghdad a stanziare milioni di dollari al mese da destinare ad aumenti di stipendio o assicurazioni sulla vita per convincere i lavoratori a rimanere.

Tuttavia, accanto a un progressivo abbandono delle aziende occidentali, vi sono compagnie cinesi che si sono mostrate disposte ad acquistare le loro azioni e che si pensa possano realizzare profitti ancora maggiori rispetto agli appaltatori occidentali. Inoltre, ha affermato al-Attar, le aziende di Pechino sembrano avere standard meno rigidi rispetto a quelle occidentali. Non da ultimo, come spiegato da Muhammad Rahim, membro dell’Iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive, guidata dal ministero del Petrolio iracheno, alcune società occidentali hanno stabilito filiali in Cina e operano in Iraq sotto l’egida di queste aziende. Ad ogni modo, anche Rahim ha confermato che i lavoratori cinesi hanno mostrato una maggiore capacità di adattamento alla vita irachena.

L’Iraq vende più del 30% del suo petrolio in Cina, dove rappresenta il terzo esportatore dopo l’Arabia Saudita e la Russia. Nei primi tre mesi del 2021, Baghdad ha esportato 13.672.443 milioni di tonnellate verso il Paese asiatico. Al contempo, le aziende cinesi si stanno inserendo nel settore energetico iracheno, aggiudicandosi una serie di contratti. Tra questi, quello relativo a una raffineria di al-Faw, il cui progetto, del valore di 7 miliardi di dollari, è stato assegnato a un consorzio di aziende cinesi, tra cui la società di ingegneria statale cinese Cncec.

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