Se vogliamo un mondo con meno fonti fossili dobbiamo cominciare a considerare la Cina un grande alleato

La transizione verde farà esplodere la domanda di minerali per la costruzione e manutenzione delle infrastrutture energetiche green. L’offerta sarà in grado di reggere l’onda d’urto?

Se vogliamo un Pianeta con meno fonti fossili dobbiamo cominciare a ...

Saranno pure infrastrutture energetiche green ma per la loro costruzione e manutenzione occorrono molti ingredienti preziosi come rame, cobalto, nickel, e litio. Il che pone un problema in merito alla scalabilità della loro produzione, che dovrà aumentare di diversi ordini di grandezza per poter permettere la transizione a un’economia alimentata da energia rinnovabile.

Nello scenario standard di transizione energetica disegnato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), il cambio di passo nella produzione necessario è impressionante: entro il 2040, la produzione di nickel dovrà crescere di 41 volte, quella di cobalto 21, di rame e grafite 28. Insomma, “la domanda di minerali è pronta a seguire una traiettoria esponenziale” nota l’economista Marcello Minenna, già a capo dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

In termini di kg di minerali necessari per la produzione di un megawatt di energia elettrica, gli impianti eolici offshore richiedono oltre 16 tonnellate, a fronte delle 6,8 del solare fotovoltaico e ‘appena’ le 1,1 tonnellate di una centrale a turbogas. Tutte le fonti tradizionali, tra cui il nucleare, sembrano avere consumi relativamente modesti di minerali di transizione, anche se, una volta realizzato l’impianto, il combustibile nel primo caso è rinnovabile, nell’altro viene consumato in maniera irreversibile.

Sin qui abbiamo visto la possibile dinamica della domanda. E l’offerta? Secondo l’Aie, al ritmo attuale di estrazione e considerati i progetti di espansione della produzione già avviati, la domanda globale di rame supererà l’offerta già nel 2025. Per il cobalto un anno prima (2024) e nel 2030 dovrebbe essere 2,5 maggiore della capacità produttiva globale. Per il litio, nel 2030 il fabbisogno globale sarebbe 2,35 volte l’offerta.

L’Ue si sta muovendo: con il Critical Raw Materials Act che dovrebbe vedere la luce in primavera, la Commissione europea dovrebbe porre obiettivi di parziale autosufficienza sui principali minerali di transizione e puntare ad accordi di libero scambio con Canada, Giappone e Vietnam, oltre a partnership strategiche con Ucraina e Namibia. La strategia comunitaria, inoltre, punta anche allo sviluppo aggressivo di nuove miniere sul territorio europeo e al finanziamento di progetti nei Paesi ricchi di risorse, nonché al cosiddetto re-mining, ovvero la riapertura di vecchi siti minerari considerati esauriti attraverso l’uso di nuove tecnologie.

Basterà tutto ciò al Vecchio continente? Forse no, visto che l’attore principale, la Cina, appare al momento innominabile. La transizione verde infatti ridisegnerà gli assi di influenza geopolitica a livello globale, dai Paesi produttori di idrocarburi verso Cina, Australia e Cile. L’industria chimica cinese raffina il 40% del rame, il 35% del nickel, il 65% del cobalto ed il 58% del litio prodotti globalmente: percentuali che evidenziano il monopolio cinese, anche nella raffinazione.

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