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Con un annuncio ad alto impatto, Donald Trump ha deciso (come noto) di raddoppiare i dazi su acciaio e alluminio, portandoli dal 25% al 50% a partire dal 4 giugno. Secondo il presidente Usa, la misura è necessaria per favorire la produzione nazionale, da anni in difficoltà. Oggi, quasi il 47% dell’alluminio e il 24,8% dell’acciaio consumati negli Stati Uniti viene dall’estero.
Un déjà-vu dal sapore amaro
La mossa non è nuova. Già nel suo primo mandato, Trump aveva introdotto dazi simili, salvo poi concedere numerose esenzioni che, a suo dire, ne avevano vanificato gli effetti. Stavolta, invece, le eccezioni sono ridotte al minimo: solo il Regno Unito, per ora, resta escluso, in attesa di nuovi sviluppi nei negoziati bilaterali.
Canada nel mirino, ma non è il solo
Il paese che subirà il colpo più duro è il Canada, primo fornitore sia di acciaio (22,5% delle importazioni Usa) sia di alluminio (53,6%). Seguono, per quanto riguarda l’acciaio, Messico (11%), Brasile (9,4%) e Corea del Sud (9,1%). Sul fronte dell’alluminio, invece, il mercato statunitense è fortemente dipendente da un più ristretto gruppo di paesi: dopo il Canada, le principali quote arrivano da Emirati Arabi Uniti (5,2%), Corea del Sud (4,4%) e Cina (4,3%).
Industria Usa tra rilancio e incertezza
Trump promette il rilancio dell’acciaio “Made in USA”, ma molti analisti avvertono: i dazi potrebbero danneggiare i settori a valle, aumentare i costi per i produttori e innescare ritorsioni commerciali. Una strategia che mira a ottenere consensi elettorali che, tuttavia, rischia di compromettere gli equilibri globali e alimentare nuove tensioni commerciali.