Oro, boom di riserve per le banche centrali ma di 300 tonnellate si sono perse le tracce

Nel terzo trimestre riserve auree aumentate di quasi 400 tonnellate, il 2022 è già anno record dal 1967. Ma tre quarti dei lingotti sono ‘scomparsi’ nei forzieri di Paesi che non hanno comunicato l’acquisto. I sospetti cadono su Russia e Cina

Oro, boom di riserve per le banche centrali ma di 300 tonnellate ...

È partito l’assalto all’oro da parte delle banche centrali, con un accumulo di riserve auree che l’estate scorsa è avvenuto a ritmi senza precedenti: tra luglio e settembre c’è stato un incremento di ben 399 tonnellate, una quantità addirittura più che quadrupla rispetto allo stesso periodo del 2022. Il boom ha portato gli acquisti netti del settore a 673 tonnellate nei primi nove mesi del 2022: volumi che battono ogni record (annuale) dal 1967, quando il dollaro era ancora convertibile in oro.

Ma c’è un giallo intorno al prezioso metallo. Secondo l’ultimo rapporto del World Gold Council, nel terzo trimestre si sono perse le tracce di oltre 300 tonnellate di lingotti. Una montagna d’oro “scomparsa” nei forzieri di Paesi che non hanno comunicato alcuna variazione delle riserve.

Il sospettato numero uno per gli acquisti fantasma è la Russia, anche se ci sono forti indizi anche a carico della Cina, che non brilla per trasparenza e che in passato ha diffuso in modo intermittente le informazioni sulle riserve auree e più in generale su tutto ciò che riguarda il mercato aurifero.

La banca centrale russa a fine febbraio aveva segnalato chiaramente l’intenzione di riprendere gli acquisti di oro, che aveva interrotto nell’aprile 2020 dopo aver raddoppiato le riserve auree nel giro di cinque anni (a circa 2.300 tonnellate, un quinto del totale delle riserve).

Da Mosca non sono più arrivati aggiornamenti in merito, ma è molto probabile che un accumulo di lingotti ci sia stato, agevolato dalla possibilità di acquisti dai produttori locali, che oggi sono in gran parte tagliati fuori dai mercati internazionali.

Quanto alla Cina, da mesi si osserva un boom di importazioni di oro dalla Svizzera, il maggiore hub di raffinazione al mondo per i metalli preziosi: acquisti tanto rilevanti da aver sollevato in molti analisti il sospetto di un accumulo silenzioso di riserve auree.

Dalle statistiche doganali elvetiche risulta che a luglio Pechino aveva importato dalla Confederazione 80,1 tonnellate di lingotti, il massimo da dicembre 2016. Nei due mesi successivi i volumi sono stati un po’ più bassi, ma comunque all’incirca doppi rispetto all’anno scorso: 37,8 tonnellate ad agosto e 44 a settembre. Fatti i conti sono 161,9 tonnellate importate in un solo trimestre (e solo dalla Svizzera), in un Paese che di oro è addirittura il maggior produttore al mondo, con 370 tonnellate estratte in miniera nel 2021.

All’origine dell’accumulo di riserve auree, che da solo ha costituito un terzo della domanda di oro fisico nel trimestre luglio-settembre, potrebbe essere una nuova spinta verso la dedollarizzazione, nel caso della Cina stimolata dalle continue dispute commerciali con gli Usa e più in generale legata alla forza del biglietto verde, che può averne accresciuto in modo eccessivo il peso sul totale delle riserve.

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